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Trump, Cruz e non solo: così le primarie Gop si sono trasformate in un disastro

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Il gran can-can mediatico e' tutto sulle scandalose regole che stanno trasformando la campagna delle primarie del GOP in un disastro politico-organizzativo. Trump che urla “il sistema e' truccato contro di me”, Cruz che lo prende in giro “quando perdi piagnucoli” , e le elite giornalistico-intellettuali - dal Weekly Standard agli editorialisti del Wall Street Journal – che accusano il miliardario di non sapere condurre una campagna elettorale disciplinata e competente ma di basarsi solo sulla “vanita'” (la battuta e' di Karl Rove). Sotto la guerra dei titoli, pero', e' gia' ben avviata la diplomazia sotterranea delle future inevitabili alleanze. Donald e' primo con 743 delegati, anche con tutte le “ingiustizie” che dice di subire. Cruz e' secondo, staccato di 200 punti a 545, pur con tutto l'entusiasmo che esterna per il bottino di delegati (34) racimolato in Colorado senza i voti della gente ma con le manovre degli attivisti. Poi ci sono John Kasich, che ne ha 143 ed e' ancora in corsa, e Marco Rubio, che e' fuori e dispone di 172 voti, di cui 34 liberi di andare con chi vogliono fin dalla prima elezione alla Convention di luglio.  Siccome la sola cosa che conta e' raggiungere i 1237 delegati, i protagonisti del risico repubblicano della Casa Bianca si stanno preparando alla eventualita' che Trump non superi la soglia magica dopo la conta dei 16 Stati che mancano, a partire da New York martedi' prossimo. Il primo e' lo stesso Trump. Siccome i voti di Kasich e Rubio possono essere determinanti, ecco che in un'intervista l' antipolitico per eccellenza ha cominciato a dire che “non avrebbe senso avere al mio fianco un vice che viene da fuori, perche' mi servira' uno che e' esperto del Palazzo di Washington”. Poi, parlando con UsaToday si e' spinto oltre, fino a dire “mi piacciono Kasich e Rubio, e anche Scott Walker: come avversari li ho picchiati duramente e non so se io piaccio a loro, ma sono persone buone e le stimo”. Queste sono avances belle e buone, pubbliche perche' e' lui che deve fare la prima mossa conciliante. Essendo allo stato embrionale, sono ovviamente proposte alternative l'una all'altra, in questa delicata fase, e il loro futuro dipendera' dalle reazioni che susciteranno. A questo punto, Kasich e' il piu' indiziato ad accettare e/o stimolare l'offerta del tandem. Perche' restare nella gara senza alcuna speranza di vincerla, se non per accumulare qualche altra decina di seggi nelle primarie del Nord Est e arrivare ad avere una dote ricca da usare a Cleveland? Dick Morris, commentatore politico che fu lo stratega di Bill Clinton e adesso e' un conservatore radicale che preferisce Cruz a Trump, e' convinto che il suo piano sia proprio quello: Kasich e' a meta' del secondo e ultimo mandato da governatore dell'Ohio, e dopo essere stato per anni, in gioventu', deputato al Congresso di Washington, aggiungere alla lunga e onorata carriera una vicepresidenza appare un'aspirazione legittima e comprensibile. Avrebbe preferito il posto Numero Uno, d'accordo, ma nella vita si fa quello che si puo'. Peraltro, le sue caratteristiche politiche lo accostano piu' a Trump che a Cruz, essendo lui un moderato pragmatico che pensa ai risultati, agli antipodi dal rigore estremista del senatore texano. Non a caso Kasich e' bene accetto agli indipendenti, tanto da aver avuto l'endorsement del New York Times. E ha vinto due volte il governatorato nell'Ohio, stato ballerino ma piu' tendente a sinistra, la cui conquista nelle presidenziali garantisce di solito la presidenza. Piu' problematico, ma non da escludere, sarebbe un apparentamento tra Trump e Rubio. I 172 delegati del giovane senatore della Florida farebbero molto comodo a Donald, ma la distanza ideologica tra i due e' enorme, per non parlare dell'astio personale generato dalle offese e controffese nei dibattiti televisivi. Comunque, e' Rubio che deve decidere che cosa fare da grande, visto che non avra' piu' il posto al senato dal prossimo gennaio, quando gli scade il mandato. E' un disoccupato della politica, con il dubbio su che cosa sia meglio per lui e la numerosa famiglia (4 figli): mettersi ora nel settore privato e fare i soldi, come fece il suo mentore Jeb Bush, e ritentare poi la corsa in futuro? Oppure restare nel giro politico nazionale, cercando di fare il vicepresidente subito? Cruz, cubano di origini come lui, ha imitato Trump nel blandire Rubio pubblicamente: “Non prendere in considerazione Marco come mio secondo nel ticket di novembre sarebbe da folli”, ha detto in un'intervista nei panni del gia' nominato. L'apertura al collega senatore e' una mossa che fa parte della strategia di Cruz per la “convention aperta”, l'unica situazione che potrebbe dargli la nomination. Presentandosi alla platea “aperta” dei delegati con il suo vice – Rubio - gia' annunciato, Cruz disporrebbe infatti subito dei voti dell'ex avversario. Magari cio' non basterebbe a farlo arrivare a 1237, ma darebbe comunque alla coppia l'aria di un GOP capace di riunificarsi. Se l'immagine dominante oggi e' quella di un partito repubblicano “balcanico”, frantumato irreparabilmente, dietro le quinte si lavora verso una semplificazione, con Trump-Kasich contro Cruz-Rubio quale diarchia piu' gettonata. di Glauco Maggi  twitter @glaucomaggi

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