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Trump, Cruz, i numeri e il suicidio perfetto dei repubblicani

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Grandi manovre nel partito repubblicano che si prepara a due nuove sfide martedi' prossimo in Utah e Arizona. Mentre non ci sono sondaggi recenti nello stato dei Mormoni, in Arizona Trump ha avuto l'appoggio dello sceriffo Arpajo, castigamatti dei clandestini e dei criminali e della ex governatrice Jan Brewer, e domina le prevsioni con il 34%, davanti al 21% di Cruz e al 12,5% di Kasich. Sul terreno degli schieramenti, dopo il senatore Lindsay Graham, che ha il record di aver appoggiato in pochi mesi ben tre candidati alla nomination (prima se stesso, poi Jeb Bush e ora Ted Cruz), anche il senatore della Florida Marco Rubio, arcirivale fino al supermartedi' del 15 marzo ma etnicamente affine (entrambi sono di origini cubane) sale sul carro del senatore Cruz. La situazione nel GOP si sta insomma curiosamente “chiarendo”, ma nel senso che fa sorridere solo i Democratici, che non credono ai loro occhi. In luglio a Cleveland, nella convention repubblicana, e' ormai certo che arriveranno ai primi due posti per numero di delegati Donald Trump e Ted Cruz. L'unico che ha una chance numerica, difficile ma teoricamente possibile, di superare il traguardo di 1237, la maggioranza assoluta che garantisce la vittoria alla prima votazione, e' il miliardario immobiliarista, che ha in tasca 678 delegati. Deve vincere il 60% circa dei delegati che restano da assegnare, e la previsione e' impossibile perche' ogni stato ha le proprie regole di distribuzione dei delegati, e quindi le proiezioni statistiche sul favore nazionale di cui oggi gode non sono decisive: secondo la media dei sondaggi RCP e' primo con il 36%, davanti a Cruz (21,8%) e Kasich (12%). Trump, oltre ad essere osteggiato dal 90% dell'establishment repubblicano, ha contro il 39% dei repubblicani, che agli exit poll del 15 marzo hanno detto che potrebbero considerare il candidato di un terzo partito, con un 44% che ha aggiunto che non lo votera' se sara' lui il nominato. Lo sfidante di Trump piu' accreditato e' Cruz, che ha 413 delegati ed e' rimasto l'ultimo conservatore “doc” in lizza, fino a dieci giorni fa “osteggiato dal 90% dell'establishment repubblicano”. Uso le stesse parole per definire la impopolarita' di entrambi nel partito per rimarcare quanto queste primarie stiano condannando senza pieta' la classe dirigente del GOP per come ha condotto la battaglia politica contro Obama, soprattutto non riuscendo a negargli la rielezione nel 2012 puntando sul candidato perdente Mitt Romney. La conta generale dei delegati assegnati finora, con i 138 di Kasich e i 168 di Rubio, mostra che gli “anti Trump” sono in maggioranza, e se riescono a mantenere questa proporzione vorra' dire che la Convention sara' tecnicamente “aperta” a soluzioni alternative. Ma la “tecnica” deve fare i conti con la “politica” di un'adesione popolare a Trump che, anche se non avra' i magici 1237 voti, reclamera' a buon diritto il ruolo da leader per aver vinto comunque piu' stati e piu' delegati. Oltretutto, i sondaggi dicono che guida con largo margine anche in California, New York e Pennsylvania, gli Stati piu' popolosi tra i 19 rimasti in palio. Chi lavora per “smontare” la nomination di Trump fa un oggettivo assist a Hillary, che pur avendo enormi problemi di credibilita' generale, e nell'armadio i cadaveri di Bengazi e delle email top secret del suo server personale, ha il vantaggio di un partito unito alle sue spalle, da Obama a Sanders, quando sara' la nominata. Le due strade che hanno davanti gli elettori del GOP, se arrivera' dilaniato alla Convention, avranno implicazioni strategiche non eludibili. Se nomineranno Trump nel modo piu' riluttante che si puo' immaginare, che e' cio' che sta succedendo, molto alte saranno le chance di farlo perdere: ma in questo caso, in verita', non perderanno i principi conservatori della classica posizione repubblicana, che lui non ha, ma un singolo leader di grande personalita' ed energia individuale che e' stato abile nel coagulare un umore diffuso di malcontento nel Palazzo. Fra quattro anni, un nuovo repubblicano dai saldi principi conservatori potrebbe presentarsi con la testa alta (l'ovvio riferimento va a Paul Ryan, che si e' tirato fuori dai giochi che lo vorrebbero il “salvatore esterno del Gop” nel caso di una Convention contestata). Se i delegati sparsi del GOP nomineranno Cruz, magari alla terza o quarta votazione come frutto di alleanze strumentali in pura funzione anti Donald, le chance del partito di perdere contro Hillary saranno ancora piu' alte, e fino al 100% nel caso Trump rispondesse al ‘complotto' andando da solo alle urne. Ma in questo caso, con Cruz che rappresentasse ufficialmente il GOP, a perdere sarebbero i principi conservatori stessi, bocciati alle urne dal populismo di sinistra, tassa & welfare, rappresentato da Clinton-Obama. Una prospettiva peggiore dell'altra. La sola via di uscita per il GOP e' un miracolo: ossia che nei mesi a venire ritrovino un'unita' di intenti e di leadership attorno a Trump. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi

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