Il socialista Bernie Sanders e il fattore Cina sulla Casa Bianca
Il socialista Bernie Sanders e' il paladino degli attivisti di “Occupy Wall Street”, e nazionalizzerebbe le banche e le Borse se fosse per lui, ipertassando ogni transazione e bollando come fossero tutti Gordon Gekko i dipendenti delle societa' private che oggi gestiscono le attivita' finanziarie. Come spiega allora, il castiga-Wall Street, l'acquisto in corso del Chicago Stock Exchange, la seconda Borsa americana, da parte di un consorzio cinese? Lo vede come nemesi dello statalismo marxista contro l'America liberista, quindi da applaudire perche' si tratta di una conquista “comunista” di una ditta “capitalista”? O come un'azione commerciale da terzo millennio globalizzato, i cui i capitali cercano la migliore destinazione per fare utili, quindi da condannare nella sua ottica marxista anti-business e anti-profitti? Magari qualcuno glielo chiedera' in un prossimo dibattito TV, ma non sapremo, temo, come la pensera', perche' e' incapace, e non gli interessa, di dare risposte sensate e articolate a quesiti specifici. Abbiamo imparato a conoscerli, i due “campioni” che sono oggi ai vertici dei due partiti. Sanno solo scandire sempre gli stessi slogan, ognuno i suoi, e non sanno replicare alle domande puntuali offrendo un minimo di dettaglio ragionato. Hanno chiesto a Sanders che cosa fara' dei 10mila soldati in Afghanistan, e lui ha detto che si era opposto alla guerra in Iraq. Hanno chiesto a Trump come fara' a far crescere il PIL USA, e lui ha assicurato che e' il solo in lizza ad “avere il fiuto e la capacita' per fare accordi vincenti ” e che una guerra commerciale con Messico, Giappone e Cina “rendera' ancora grande l'America”. Intanto il mondo va avanti e, a proposito di Cina, la prospettiva della acquisizione cinese della Borsa di Chicago e' davvero inquietante. Il Ceo attuale, John Kerin, ha annunciato di essere favorevole alla vendita dello Stock Exchange della citta' di Barack al consorzio guidato dal CCEG (Chongqing Casin Enterprise Group of China). Cio' permettera' ai cinesi di mettere il piede direttamente nel ricchissimo mercato borsistico americano (22mila miliardi di dollari di capitalizzazione) e il naso nella tecnologia finanziaria USA che governa gli scambi di titoli. Inoltre, il “ponte cinese” potrebbe far arrivare nella borsa americana sempre piu' numerose aziende cinesi alla ricerca di finanziatori internazionali. Kerin ha anche ammesso, pero', di non sapere in realta' chi componga il “consorzio”, e quindi ci potrebbero benissimo essere una o piu' entita' che sono controllate dal governo comunista. La CCEG era stata creata da Pechino nel 1997 per assorbire gli asset di aziende pubbliche, “e il chairman Shengju Lu ha ancora legami con il governo di Chongqing, citta' della Cina sud-occidentale”, hanno scritto 46 parlamentari (45 del GOP e uno DEM) al consiglio di amministrazione del CFIUS per indagare, e possibilmente bloccare, la trattativa della cessione. Il CFIUS e' il Comitato che supervisiona gli investimenti esteri negli Stati Uniti (Committee on Foreign Investiment in the United States) e ha il potere di bocciare le acquisizioni se ritenute dannose per la sicurezza nazionale. I 46 vogliono che il governo faccia una revisione accurata, prima dell'OK definitivo, sui rischi che potrebbero venire da questa cessione. “Il mercato americano ha poche informazioni sulla CCEG”, si legge nella lettera riportata da Josh Rogin di Bloomberg View, “ma questa ditta presenta la tradizionale opacita' delle compagnie cinesi. Da una parte non e' chiaro il livello di influenza che lo Stato ha sulla CCEG, ma dall'altro si sa che la ditta e' coinvolta in un largo numero di settori cinesi importanti che comportano strette connessioni con il governo. Se dovesse essere stabilito che la CCEG mantiene una relazione stretta con il governo cinese – e quindi con l'esercito cinese – esortiamo il CFIUS a impedire questa acquisizione”. Il primo firmatario, Robert Pittenger, deputato repubblicano della Nord Carolina, ha detto a Rogin che se il governo cinese avesse una influenza sui mercati americani li potrebbe manipolare avvantaggiando le compagnie cinesi o artificialmente garantendo benefici alla propria economia. E non solo. Dare a una impresa cinese il controllo di una Borsa USA equivale a darle anche accesso alle notizie riservate che una compagnia americana deve fornire allo Stock Exchange per poter essere quotata, e cio' “costituirebbe una grave preoccupazione per la sicurezza cibernetica americana”, ha spiegato Pittenger. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi