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Le primarie arrivano in Carolina e NevadaPerchè Donald Trump parte strafavorito

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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La terza sfida per le nomination sara' in Sud Carolina sabato 20, e per i sondaggi che hanno gia' registrato le reazioni dopo il dibattito di sabato scorso, Donald Trump e' sempre primo con il 37% (secondo la media di RealClearPolitics), ben oltre i due senatori Ted Cruz (17%) e Marco Rubio (14%). L'ultimo sondaggio nello Stato del Sud vede gli altri fuori gioco, con Kasich al 10% e Bush-Carson, pari al 7%. George W. Bush ha fatto ieri un comizio a favore della campagna per il fratello Jeb, ma l'impresa della risalita delle posizioni appare disperata. Se Jeb non sfonda in Sud Carolina, che e' forse lo Stato in cui la famiglia di George W. Bush gode del livello di simpatia piu' elevato nel paese tra i repubblicani (oltre l'80%), gli resterebbe solo di sperare nella Florida, di cui e' stato governatore per 8 anni, e con successo. Purtroppo per lui, pero', anche la primaria che si terra' in Florida il 15 marzo vede Trump (ultimo sondaggio del 20 gennaio della Florida Atlantic University) con quasi il 48% delle preferenze, davanti a Cruz con il 16.3% e Rubio con l'11,1%. Jeb e' ad un triste 9,5%. George W. non poteva far mancare l'appoggio al fratello in Sud Carolina, insomma, ma realisticamente lo si puo' giudicare piu' un atto di affetto familiare, dopo quello della mamma Barbara in New Hampshire, che non un'azione con qualche seria conseguenza politica. Cio' che il cosiddetto establishment non ha ancora capito non e' tanto che agli elettori non piacciano le alternative a Donald – con il dogmatico Cruz che appare messo meglio degli altri perche' si e' ritagliato un corpo di fans su misura tra gli evangelici e i radicali costituzionalisti anti Washington e filo Tea Party. E' invece il fatto che Trump ha avuto l'intuizione, o l'accortezza, o ha fatto il giusto calcolo cinico, di puntare su un bacino piu' largo degli altri: la classe operaria bianca, che e' la meno colta, la piu' vessata dalle politiche economiche di Obama, la piu' chiusa contro l'immigrazione, la piu' protezionista e contraria ai patti commerciali di libero scambio con i paesi emergenti “che rubano posti di lavoro”. E oltre ad essere la piu' estesa e' la piu' reietta. Sara' anche la meno “conservatrice” da un punto di vista del rigore ideologico, ma e' quella che ha risposto al messaggio di Trump con entusiasmo sin dal primo comizio dalla Trump Tower di New York, e che continua a seguirlo. Donald ha saputo condire le battutacce anti messicani e anti islam con la sua storia personale di businessman miliardario, e questo mix irresistibile continua a dare i suoi frutti. Anche in Nevada, che terra' il suo caucus il 23 febbraio, quattro giorni dopo la Sud Carolina, Trump (sondaggio Gravis di fine gennaio) e' al comando con il 33%, davanti a Cruz con il 20% e a Cruz con l'11%. Ha fatto notare Mark Cunningham, commentatore per il New York Post, che “dagli Anni 70, come minimo, e' stato eletto presidente sempre qualcuno che ha inventato un modo nuovo per vincere”. Di sicuro e' inedita l'attuale campagna di Donald, che consiste nel farsi odiare dalle elite politiche e mediatiche di entrambi i partiti, e che con questa “medaglia” sul petto sta riuscendo a farsi amare dalla “classe lavoratrice” piu' bassa, che si sente la meno rappresentata. E che e' nostalgica di quell'”America Grande” in cui stava meglio di adesso, e che Trump richiama con il suo slogan “Tornero' a fare ancora grande l'America”. di Glauco Maggi

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