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Trump sempre in testa nei sondaggiMa le stelle nascenti sono Cruz e Rubio

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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New York. Trump non e' animale da forum di discussioni articolate, e lo ha confermato durante il quinto dibattito dei candidati repubblicani a Las Vegas organizzato dalla CNN martedi' notte. Lui e' il mago delle sparate politicamente scorrette, e l'immagine di duro di successo gli ha fatto conquistare l'America conservatrice, ma anche molti indipendenti, che si sentono orfani di un leader forte alla Casa Bianca in questa stagione di terrorismo incombente. Chiamato a spiegare in dettaglio la sua ricetta, Trump mostra la corda: non ha la fluidita', e la profondita' delle argomentazioni, che sono l'ovvio bagaglio dei politici professionali. Sono queste le qualita' di Ted Cruz e di Marco Rubio, che hanno brillato litigando uno contro l'altro su sicurezza e immigrazione. Entrambi senatori di origine cubana, 44enni del Sud (Texas e Florida, rispettivamente), figli della prima ora del Tea Party, i due fremono per rafforzare i loro rating, saldamente a due cifre da qualche settimana: consapevoli di giocarsi tutto nella lotta per il ruolo di anti-Trump, si sono tolti i guanti e si sono rinfacciati i rispettivi voti cruciali dati in Senato negli anni scorsi. Cruz ha ricordato che Rubio ha fatto parte del gruppo bipartisan in Senato, la Banda degli Otto, che voleva introdurre una riforma dell'immigrazione, anzi “una grande amnistia” pro clandestini secondo Cruz e l'ala piu' radicale del partito. E Rubio ha accusato Cruz di aver indebolito le difese contro i complotti islamici quando ha votato, con Obama, per vietare il programma della agenzia della sicurezza NSA di raccolta in blocco delle telefonate. Politico.com e' persino arrivato a paragonare Rubio “al Barack Obama del 2008: capace di grandi momenti, un comunicatore dotato e che sa dare spettacolo”. Infine, nel poker dei preferiti nella media attuale dei sondaggi, il mite medico afro-americano Ben Carson ha mostrato dal vivo, con una performance scialba, la stessa debolezza emersa nei sondaggi dell'ultimo mese, quando ha visto via via dilapidarsi il capitale di preferenze che lo avevano addirittura portato al livello del rumoroso miliardario di New York. Sono gli attesi assestamenti, a meno di 50 giorni dal primo caucus in Iowa, nel peso e nelle speranze effettive dei candidati residui, e la realta' e' che la selezione darwiniana iniziata in estate ha gia' di fatto eliminato la meta' dei 12 concorrenti ancora formalmente in lizza. Oltre ai quattro citati, solo Jeb Bush e Chris Christie possono essere considerati realisticamente ancora in corsa. Peraltro, hanno avuto una serata con qualche applaudita battuta. Per Bush ”Trump e' il presidente del caos” e per Christie “Il terrorismo jihadista radicale non e' teorico per me, voglio la chance di battermi per difendere le vostre famiglie e i vostri figli”. Grazie al loro nome, ai fondi gia' raccolti da spendere in spot, al network ostinato dei finanziatori e alla stima della dirigenza del partito, di sicuro i due governatori di successo arriveranno a disputare le primarie di febbraio e marzo, e si giocheranno li' le ultime carte. Gli altri, ormai, sono comparse dalle chance ridotte al lumicino, ma lo sapevano prima di parlare dal podio. Chi ha perso secco dal dibattito televisivo nel GOP, in sostanza, e' stata solo Hillary Clinton. Le sue azioni al Borsino della Casa Bianca si alzano quando sembrano prendere forza le probabilita' di una defezione di Donald Trump dal GOP e di una sua corsa come terzo candidato. E ieri, invece, l'attuale leader repubblicano ha escluso questa possibilita'. E' vero che aveva gia', in settembre, firmato come tutti gli altri una dichiarazione di lealta' al GOP, ma poi, in occasione delle polemiche sulla sua proposta di bando temporaneo all'ingresso dei musulmani negli USA, era rispuntata la minaccia di un esito alla Ross Perot, l'imprenditore texano che fece vincere Bill Clinton nel 1992 presentandosi da terzo incomodo. “Un nuovo sondaggio indica che il 68% dei miei sostenitori voterebbe per me se lasciassi il GOP e corressi da indipendente”, aveva twittato Donald facendo gelare il sangue ai repubblicani. Ma alla domanda dell'intervistatore se tenesse aperta la possibilita' di presentarsi da indipendente nel caso di un trattamento ostile nei suoi confronti dell'establishment del GOP, Trump ha risposto nettamente di no. Ha detto di essere “totalmente impegnato con il partito repubblicano”, e di sentirsi “molto onorato di essere il primo nei sondaggi”. Ed e' andato oltre: “Ho maturato  grande rispetto per la leadership Repubblicana e per i candidati che sono su questo palco”. A fine dibattito, un altro giornalista della CNN, Chris Cuomo (figlio di Andrew, il governatore di New York alleato dei Clinton) ha pressato ancora Trump sempre sullo stesso tasto, a riprova di quanto il clan di Hillary speri nel “tradimento” di Donald. Ha chiesto se la promessa di rimanere nel GOP fosse veramente “senza eccezioni”. E Trump ha confermato: “Saro' un Repubblicano, non faro' un terzo partito. Per nessun motivo”. Trump si sente sicuro, essendo l'indiscutibile leader nei sondaggi nazionali. Per quello reso noto lunedi' della Monmouth University e' in testa con il 41%, e per quello del Washington Post/ABC, condotto in dicembre dopo il famoso divieto ai musulmani, e' al 38%, 6 punti in piu' del precedente di meta' novembre. L'atteggiamento mansueto al dibattito di ieri, durante il quale ha fatto la pace con Cruz dopo gli screzi degli ultimi giorni, e' calcolato: con le parole forti, e anche gli insulti, ha conquistato gli scontenti radicali e i meno sofisticati; adesso il piano e' di raccogliere chi ha finora votato per Carson e per l'insieme di tutti gli altri destinati all'abbandono, e serve un Donald piu' rassicurante, per quanto gli riesca quella parte. di Glauco Maggi

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