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La vera di minaccia di Donald Trump ai Repubblicani: perché possono perdere per colpa sua

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Il GOP e' nel mezzo della bufera di Donald Trump, e il solo lato positivo e' che la crisi per la famosa sparata del ‘divieto ai musulmani' e' scoppiata quando non e' successo ancora nulla di irreparabile alle urne delle primarie. E' vero che Donald non ha finora mostrato di pagare pegno per le sue uscite tra il pubblico, ed anzi ha ferito molti suoi contendenti nel partito. Le offese al Messico che manda i criminali, a John McCain perche' si era fatto prendere prigioniero in Vietnam, alla giornalista Megyn Kelly di Fox News “che aveva le mestruazioni quando mi ha attaccato in Tv”, a Carly Fiorina “con quella faccia li', ma l'avete vista”, a Ben Carson “violento patologico da giovane” e dalla religione dubbia da adulto, a Jeb Bush “senza energia”, a Marco Rubio “clown” e “sempre sudato”, sono state un crescendo di volgarita' che gli hanno portato voti e gli hanno costruito l'immagine di irriverente picconatore dell'establishment repubblicano. Ma con l'attacco ai musulmani, e l'esplicita autocandidatura a “uomo forte” che sa lui come trattare gli islamisti, ha superato il segno. Persino Bill O'Reilly, il conduttore piu' famoso della TV filo GOP Fox Channel, ha detto che ha sbagliato, che l'idea del bando agli islamici fa male alla sicurezza del Paese. Oggi Trump e' una figura arroccata su un piedestallo instabile: poggia su un 30% circa di fans tra i repubblicani, ma questo livello e' sempre piu' un tetto e sempre di meno un trampolino. Il restante 70% e' contro di lui, e se non e' riuscito a conquistare altri consensi nei sei mesi in cui ha dominato i media e ha mostrato tutta la sua potenza provocatoria, e' del tutto improbabile che riesca a sfondare in futuro: nel sondaggio di inizio dicembre della Quinnipiac University Trump e' quello con il peggiore rapporto di favorevoli e di contrari: ben il 57% lo giudica sfavorevolmente e solo il 35% favorevolmente, persino peggio di Clinton (che ha il 51% contro e il 44% a favore). Forse se ne sta rendendo conto lui stesso, il Donald, se e' vero che sta preparando il terreno per una corsa da indipendente: da giorni ricorda nelle interviste che, secondo un sondaggio, il 68% di quelli che lo indicano come il loro preferito oggi sarebbe disposto a seguirlo anche se lui non fosse il nominato del GOP. Trump sta insomma giocando l'arma del ricatto, soltanto tre mesi dopo aver firmato per iscritto l'impegno ad appoggiare il nominato repubblicano che uscira' dalla Convention di partito a Cleveland. Il tempo, pero', gioca contro di lui. Il prossimo dibattito in Tv del 15 dicembre tra i residui sfidanti del GOP, una dozzina, contribuira' a dare una scrollata all'albero del GOP: le pere che gia' oggi appaiono appese per un pelo cadranno definitivamente. Tra i senza speranza possono essere gia' tranquillamente elencati Santorum, Graham, Pataki (hanno lo zero virgola nella media dei sondaggi RealClearPolitics), ma anche Paul, Kasich e Huckabee (dal 2,2% all'1,8%) sono di fatto fuori dal giro. Tra i fortemente vacillanti c'e' la Fiorina, che come donna appare pero' l'ideale numero due di un ticket che dovra' sfidare la Hillary. Bush e Christie, con il 3,6% e il 2,6%, sono sulla carta i due cavalli di razza del partito che hanno finora deluso di piu' nella corsa, ma le risorse e la personalita' li spingeranno di sicuro a stare in gioco fino a febbraio e marzo, quando scatteranno le primarie vere. Tutti questi candidati citati finora fanno, insieme, un pacchetto del 15%, che sara' conteso dagli altri tre sfidanti che vantano oggi percentuali a due cifre e sono le potenziali minacce piu' serie al leader Trump: ma mentre Ted Cruz (15,6%) e Marco Rubio (13,6%) sono indubbiamente in ascesa nell'immagine e nei sondaggi, il medico nero Ben Carson (13,6%) e' in palese declino. Ha perso il fascino di qualche settimana fa, quando arrivo' ad affiancare Trump; poi gli elettori repubblicani si sono disamorati, e hanno concluso che il flirt con i candidati al di fuori dell'establishment stava durando troppo, e che uno era piu' che sufficiente per giocare quella parte. Quindi il 13,6% pro Carson e il 15% sparso tra i senza speranza e i cavalli di razza imbolsiti stanno di fatto diventando il trofeo destinato ad essere spartito tra Ted Cruz e Marco Rubio. Questa lettura delle prospettive presidenziali e' parzialmente allineata con la storia del GOP che vuole che al dunque l'elettorato conservatore sia, appunto, conservatore. Come quando ha scelto George Bush, John McCain e Mitt Romney nelle precedenti elezioni. In questa tornata, i naturali eredi dell'opzione “tradizionale” sarebbero Jeb Bush e Chris Christie. Ma questi non sono tempi normali. Infatti, i piu' vicini all'establishment del GOP messi meglio adesso sono due politici di professione che ricalcano semmai il modello “Obama”: senatori freschi e poco esperti come lui, ispanici (mentre Barack e' mezzo nero), giovani piu' di lui. Invece, “Trump e' il candidato che i Democratici sognano”, attacca sul Wall Street Journal Karl Rove, l'ex consigliere del vincente George W. Bush che non ha ancora espresso una sua preferenza. Hillary ha un bagaglio impresentabile, e il voto del 2016 diventera' un plebiscito contro di lei se a sfidarla sara' uno qualunque dei repubblicani DOC. Se sara' Trump il nominato, il GOP perdera' alle urne perche' a quel punto il plebiscito sarebbe su di lui. E un conto e' divertirsi un anno prima flirtando con un personaggio maramaldo, politicamente scorretto, dal passato di affarista aggredibile, e dal pedigree ambiguo (ha anche avuto la tessera Democratica). Un altro e' mandarlo alla Casa Bianca. Ma la debacle del GOP e' una seria possibilita' in ogni caso: se Trump non vince la nomination del partito ma mette in atto la sua minaccia di andare da solo, andra' in scena l' avventura suicida dei conservatori che, nel 1992, ha prodotto il terzo candidato Ross Perot e ha fatto perdere il vecchio Bush contro Bill Clinton. Glauco Maggi

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