L'agenda di Obama non la voteranno nemmeno i democratici
di Glauco Maggi Obama è gasato dalla riconferma avuta a novembre, e ha esposto nel Discorso dell'Unione un programma a largo raggio di superstatalismo e tax & spend, tassa e spendi, che sta facendo gongolare l'estrema sinistra democratica. A vederlo parlare in Tv sembrava di essere ancora in campagna elettorale, e si vede che a lui piacciono molto le cose che chiede, e si capisce che sia così perché sono quelle che l'hanno fatto vincere. Ma pure il senatore Marco Rubio, incaricato dal partito repubblicano di dare in tv la tradizionale e immediata risposta politica dell'opposizione al messaggio del presidente, sembrava la reincarnazione di Mitt Romney per le cose che diceva, dalla difesa del piccolo governo alla libertà e responsabilità individuale che sono la vera spina dorsale del paese. Anche se, essendo ispanico e figlio di un barista cubano scappato da Castro e rifugiato in Florida, Rubio aveva queste due enormi e positive differenze d'immagine con il bianco e ricco finanziere del Massachusetts, pure lui sembrava però un disco rotto. Che recitava la stessa canzone conservatrice, anche bella e giusta per (quasi) mezza America ma, appunto, bocciata. Non è da lui, né dagli altri repubblicani probabili candidati del GOP che si stanno scaldando l'immagine (Rand Paul, del Tea Party, è solo l'ultimo uscito allo scoperto l'altra sera con una risposta libertaria a Obama, dopo quella di Rubio) che ci sarà fino all'autunno del 2014 la vera reazione ai disegni dirigistici di Barack. Da qui alle elezioni di medio termine del novembre dell'anno prossimo sarà il Congresso la sede della battaglia politica, e il GOP ha deciso la strategia che giocherà. L'ha esposta John Boehner, lo Speaker della Camera che è a maggioranza repubblicana e che può bloccare quindi ogni legge del libro dei sogni di Obama. E' molto semplice: lasciare al Senato, che è nelle mani del partito di Obama, la completa iniziativa legislativa dei prossimi due anni. Che sia Harry Reid, il leader democratico del Senato, a mettere ai voti l'agenda del presidente. “Se il presidente vuole imporre la tassa cap-and-trade sulla energia nazionale, incoraggio i democratici del Senato ad approvarla”, ha detto oggi Boehner in una dichiarazione ufficiale. “Se il presidente vuole più spese pubbliche che noi sappiamo non creeranno lavoro, incoraggio i senatori democratici a passarle. Se il presidente vuole più aumenti delle tasse che distruggeranno posti di lavoro, allora i suoi alleati al Senato dovrebbero approvarli. Questa non è l'agenda che gli americani si aspettano, e molti parlamentari del suo stesso partito non la sosterranno”. “Alla Camera”, continua la dichiarazione del capo del GOP, “continueremo a focalizzarci sulle priorità al top nel paese: creare occupazione e tagliare le spese”. La mossa di Boehner è evidentemente coordinata con il capo della minoranza dei senatori repubblicani, Mitch McConnell, che ha preso la parola in aula per sfidare i democratici a passare una proposta che rimpiazzerebbe i tagli automatici alle spese per 85 miliardi previsti il primo marzo con incrementi delle tasse. Non è un segreto che l'agenda da grande governo, anti armi, più tasse, più spesa nei programmi di welfare, punitiva delle estrazioni di gas e petrolio, fiscalmente irresponsabile sul debito Usa che cresce, non ha i voti per passare al Senato, dove pure i democratici sono 55 su 100. Molti senatori democratici centristi-conservatori eletti negli Stati rossi, che a novembre hanno dato più voti a Romney, non sarebbero più eletti in futuro se si mostrassero proni alle pretese “socialiste” di Barack. Il quale gira il Paese vestendo sempre più i panni del predicatore che non quelli dell'amministratore politicamente avveduto che cerca davvero un terreno comune con il partito avversario su riforme raggiungibili insieme. E se sperava di avere un vantaggio dipingendo il GOP come ostruzionista dei suoi disegni, ora si trova a dover gestire il “suo” Senato democratico che non gli dà retta. twitter @glaucomaggi