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L'eroe della cattura di Osamaabbandonato da Barack Obama

Shakil Afridi lasciato in Pakistan e condannato a 33 anni. Bush invece portò negli Usa l'uomo che salvò soldatessa americana

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Obama non ha fatto come Bush, e così il medico pakistano che aveva aiutato la Cia a scoprire dove era Osama Bin Laden è stato arrestato dal governo pakistano, tenuto in galera per un anno e ,ora, condannato a 33 anni di prigione per tradimento. "Doveva venire da noi e non dagli americani a dirci di Osama. E' un traditore e non un eroe", ha detto un ufficiale pakistano commentando il fatto. Quando Jessica Lynch, la soldatessa americana ferita e catturata dagli irakeni, fu salvata dal raid dei marines grazie all'aiuto di un giovane avvocato irakeno, Mohammed Odeh al Rehaief, il governo Usa immediatamente garantì a lui e alla sua famiglia il rifugio politico negli Stati Uniti.    Obama continuerà a vantarsi, fino a novembre, che è merito suo l'aver eliminato Osama Bin Laden. Ok, è il comandante in capo che ha dato l'ultimo ordine ai Navy Seals di procedere con il rischioso assalto, e non era una decisione da poco. Ma da allora la sua gestione del “successo” non è stata nemmeno lontanamente all'altezza del risultato ultimo. Innanzitutto, non ha mai pubblicamente riconosciuto che la Cia che è arrivata ad Abbottabad, nello squallido villone di Osama, era la stessa Cia di Bush, quella che aveva interrogato con i metodi duri che lui, Obama, considerava e considera “tortura” (Lui che spara droni all'impazzata uccidendo a distanza per non fare prigionieri, che dovrebbe mettere a Guantanamo. Con ciò negandosi l'arma degli interrogatori, che sarebbe esiziale per il futuro di Al Qaeda.). Sono state le cantate dello sceicco Khalid a portare via via al covo. Invece di essere riconoscente con gli apparati del presidente repubblicano che l'ha preceduto, Obama si è poi lanciato nella provocazione: ha insinuato lui, e fatto dire esplicitamente ai suoi tirapiedi, che se al suo posto ci fosse stato il presidente repubblicano che lo sfiderà tra sei mesi, beh, Romney non avrebbe dato l'ordine di attaccare. Tutti lo avrebbero fatto, a quel punto, ha risposto Romney, “anche Carter”. Ed è stato molto generoso, perché avrebbe potuto aggiungere “a parte Bill Clinton”. Fu infatti il predecessore di Bush che, quando Osama era stato individuato dalla Cia tempo dopo i primi attentati alle Torri Gemelle del 1993 compiuti da Al Qaeda con un camion carico di esplosivo, negò il fatidico ordine di eliminarlo con un bombardamento ad hoc.  Ma più grave di tutto, nella vicenda Obama-Osama, è ciò che è successo al dottore pakistano Shakil Afridi. Lavorava con la Cia nel condurre un programma di vaccinazioni nella zona, e grazie al DNA estratto a dei parenti di Osama scoprì che il superterrorista viveva nell'area e aiutò gli agenti Usa a individuare dove. L'avrà fatto per i milioni della taglia, ma tanto di cappello al dottor Afridi. Chiunque si aspetterebbe che un personaggio del genere, fatta la missione, venisse non solo ringraziato ma protetto. Possibilmente trasferito in Oklahoma o Nuovo Messico, con qualche correzione al profilo e il regalo di un bel passaporto con un nome nuovo, e di un posto al locale ospedale di circolo. Esattamente come fece Bush con il legale irakeno.  Si sapeva come sono quelli di Al Qaeda, per vendicare la fine del capo si sarebbero fatti in quattro. E si sapeva anche che, perché potessero  arrivare sani ad Osama, i Navy Seals avevano agito di nascosto dalle autorità civili e militari pakistane, tanto è il buon sangue tra Washington e Islamabad. Il regime pakistano aveva avuto in casa sua Osama per anni, sacrosanto non fidarsi di loro preannunciando il raid. La protezione del dottore, insomma, doveva essere il primo pensiero di Panetta, allora capo della Cia, della Hillary al dipartimento di Stato, e di Obama, perbacco, che ad Afridi doveva pur sempre lo scontato e immediato rimbalzo di 7 o 8 punti nell'indice di popolarità del maggio 2011, l'unico che si ricordi del suo primo mandato, e il solo ad avergli fatto superare il 50%. E invece, niente. Abbandonato al suo destino, Afridi è finito male. Non per mano dei terroristi orfani del leader, ma del governo “alleato” pakistano. Prima arrestato, e ieri condannato a 33 anni di prigione. Come azione di PR per far vedere al mondo che ci si può fidare dell'America non c'è male. Anche la sorte di Afridi, dunque, deve rientrare nel bilancio dell'operazione “Osama”. Se aver detto “vai” ai suoi marinai gli ha portato la giusta gloria, aver trascurato le possibili conseguenze per il dottore, alla luce di che cosa è successo, deve attirare su Obama le critiche più severe per come ha perso una partita vinta. Come comandante in capo, tra Bush e Obama non c'è partita. di Glauco Maggi   

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