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Se le mitiche sorelle Napoli da tv urlata si trasformano in servizio pubblico

Un Comune sciolto per mafia grazie a Non è l'Arena

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Botti d'ascolto e servizio civico Foto: Botti d'ascolto e servizio civico
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Non sono, onestamente, mai andato pazzo per le sorelle Napoli. Anzi.  Non sono mai state il mio genere le due more e la bionda, Irene Imma e Anna, imprenditrici del paesello siculo di Mezzojuso, quasi compiaciute davanti alla telecamera di Massimo Giletti a Non è l'Arena (La7, domenica prime time) nel denunciare “vent'anni di violenze vicine al metodo mafioso” di loschi personaggi loschi che insistevano – a loro dire- a costringerle “a cedere la proprietà o la gestione della loro azienda agricola”. Il vociare accorato delle tre donne, le loro urla contro un intero paese -compreso il sindaco e un ex generale dei carabinieri in pensione- mi sembravano alta drammaturgia, un grottesco esprit strappato ad una commedia di Eduardo De Filippo. Il loro vociare, tecnicamente, mi appariva come un formidabile metronomo d'ascolti. Invece. Invece, mi sono sbagliato.  Se oggi Il consiglio dei ministri ha sciolto il consiglio comunale di Mezzojuso per “rischio concreto di infiltrazioni mafiose”, un motivo ci sarà. E se per atti illegittimi e parentele imbarazzanti, di conseguenza, decadrà anche il sindaco del paese Salvatore Giardina e la sua corte di anime evidentemente non troppo belle; be', significa che il buon Giletti aveva ragione (“Erano quindici anni che una televisione non faceva una puntata dalla Sicilia parlando di mafia: noi siamo andati nel cuore della cittadina”, dice lui). Aveva ragione a schierarsi, di persona, platealmente, e con una retorica quasi assordante, contro tutte le istituzioni locale raccolte in piazza. La puntata del cronista e le sorelle nell'Ok Corral di Mezzojuso rimane la narrazione memorabile dello stato d'animo di una regione ancora persa nei romanzi di Sciascia. Allora mi pareva una fiction, ora trovo che quel eccessivo calcare i toni fosse finalizzato all'intervento di politica e magistratura. E avevano ragione pure le tre oneste sorelle che da un paio d'anni, ornano il palinsesto di La7 con le loro denunce raccolte solo da Massimo, perché tutti pensavamo ad una sòla nazionalpopolare spacciata per battaglia civica. Invece, battaglia civica lo era davvero. Confuso da alcune scelte sbagliate di Giletti (ultimo il caso Prati), mi sono incastrato nel pregiudizio. Mea culpa, se il risultato è questo, ben vengano cento, mille sorelle Napoli…             

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