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E un Montanelli da leggenda sbucò dal Tg2

Il reportage su Indro di Miska Ruggeri

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Montanelli tra Artom e Bompiani Foto: Montanelli tra Artom e Bompiani
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“Non beatificatemi troppo, perché non riuscirete a pareggiare il conto...». Mentre visionavo La leggenda di Indro, il bel reportage a firma Miska Ruggeri sul Tg2 Dossier (Rai Storia, martedì, prime time), mi è venuto in mente l'autoepitaffio con cui, con falsa modestia, Montanelli annaffiava il suo mito.  Mi capita spesso di aggrapparmi a Montanelli, al suo giornalismo permeato di “insolente capacità di scrittura” (diceva Carlo Cecchi), di senso dell'onore e di dignità della sconfitta. Ho un figlio che si chiama Gregorio Indro che ancora non sa che nel suo nome è racchiuso un modello di vita inimitabile. Ed è bene che, ad intervalli irregolari ci sia sempre un memento montanelliano per le nuove generazioni. Il reportage del Tg2 prende lo spunto delle date di nascite e morte del Maestro; ma, in realtà, è un escamotage narrativo per riprenderne dalle teche Rai le immagini, gli occhi, i gesti, le gambe da fenicottero, la sua storia immensa da cui nessuno osa trarre un film. Ognuno degli intervistati, qui, da la sua versione di Montanelli. Gervaso ricorda che “Montanelli nel giornalismo italiano del 90 è stato quello che Voltaire è stato nel giornalismo francese del 700; è riuscito a far capire al lettore quel che il lettore – e spesso lui stesso- non capiva mai”. Vittorio Feltri ne evoca “lo stile che si sposava perfettamente con il comune sentire del popolo” (farsi capire “dal lattaio dell'Ohio”, diceva Indro durante il praticantato alla United Press); Massimo Fini ne liscia la schiena dritta e Michele Brambilla l'abilità a rendere il verosimile più vero del vero. Eppoi ecco Indro che racconta a Ugo Tognazzi la tentazione di “fare il brigante, poi ho fatto il giornalista che più o meno è la stessa cosa”; Indro e, la depressione; Indro e il XX Battaglione Eritreo e la sposa dodicenne; Indro e i reportage da Albania, Finlandia e Ungheria; Indro contro il film sul Generale Della Rovere e la “corporazione” della letteratura che lo rifiutò. E', per me che l'ho vissuta, trattata con troppa diffidenza l'avventura della Voce, rappresentata nel racconto del Vecchio Cilindro come la figlia della serva.  Nel reportage di Miska Ruggeri non spicca, certo, nulla di nuovo; ma brilla l'essenza della leggenda. Fate conoscere Montanelli ai vostri figli. Non importa quel che è realmente stato, ma ciò che ha rappresentato…

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