Little Big Italy, l'assalto all'arma bianca del cooking show
Un programma molto made in Italy
Francesco Panella, detto “Brooklyn Man” è un noto ristorante romano vagamente somigliante a Luca Barbarossa dotato di camicie e sorrisi sempre stirati di fresco. Panella possiede due atout: la capacità di fare un'ottima pasta alla genovese e quella di confezionare uno dei più coinvolgenti cooking show in circolazione: Little Big Italy (Nove, domenica prime time) che, essendo di una semplicità imbarazzante si affida soprattutto alla narrazione e al montaggio. Il programma si incentra su un ‘idea banalotta: tre clienti italiani residenti all'estero scelgono un loro ristorante preferito che viene votato sulla base di tre categorie di piatti: la scelta, il piatto forte dello chef (che, di solito, è forte solo per lo chef) e la voglia fuori menu. Panella, in qualità di “ambasciatore di sapori mediterranei” si muove con una sorta di Giacobbo del piano cottura, tra il nord e il Sudamerica, e affibbia la patente di italianità a uno dei suddetti tre. Di prim'acchito, odiando i programmi di cucina (tranne quelli di Chef Rubio), evitavo Little Big Italy come la peste. Finché non sono incappato nella puntata in cui il conducator arruola a Miami tre soggetti completamente diversi l'uno dall'altra. Alessandro, “importatore e fabbricante di occhiali” è in Florida dagli anni 90, quelli di Versace e di Baywatch “ma il palato è rimasto a Firenze”; e sponsorizza “Caffè Abbracci” di Nino Perneti un tizio che pare il sosia di De Niro col dentino finto e scintillante e dalla battuta berlusconiana. Francesca è una consulente finanziaria che vive in un building con palestra e piscina interne e “non è tipo da Miami Beach, troppa gentaccia”; sicché trascina il gruppo a Ferraro's kitchen gestito dal tosto Igor, ex imprenditore di successo con moglie platinata annessa. Mattia, personal trainer pugliese dice di sé: “alleno modelle e fotomodelle ma posso essere classificato come un lifestyler” anche se non ho capito cosa significhi. Bloccato sul telecomando da mia moglie ho dovuto trasformare il mio astio prima in vago interesse e poi in ostinata fascinazione. Il fatto che Nino, il trattore che aveva servito “tre presidenti”, sbagliasse la ricetta delle lumache alla romana e si scusasse flirtando la sua ospite mi è apparso come un film di Risi. E Igor, che trattava i suoi clienti alla stregua di operai non specializzati in un'acciaieria mi ha evocato la cocciutaggine e la carne di cavallo lessata del mio Veneto. Alla fine ha vinto una coppia di ristoratori emiliana, ma soprattutto la fattura di un programma divertente…