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Simo Ventura e la rinascita di The Voice

Pregi (più) e difetti (meno ) della sesta edizione del talent show

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Simo & gli altri variegati giudici Foto: Simo & gli altri variegati giudici
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Simona Ventura, dopo Pasqua, all'ennesima, stroboscopica, resurrezione, è l'insufflata di ossigeno che ci voleva nel martedì estenuato di Raidue. Oddio, la trasmissione da lei condotta, The Voice of Italy 6, è ancora un po' ingolata, affaticata nel solito copione e strangolata dai palinsesti intasati dai talent show più disparati; ma se la puntata d'esordio fa 2.435.000 spettatori pari all'11.15% di sharecontro 2.959.000 spettatori pari al 17.7% di share del Grande Fratello 16, be', il futuro potrebbe riservare sorprese. L'urlo di Simona che apre The Voice ha il sapore bellico dell'eterno ritorno; e consente alla signora, qui tutta di giallo vestita, di riconquistarsi tutti gli spazi che il format le concede. Il programma, in onestà, era abbastanza logoro e necessitava diremise en form. E certe scelte di copione sono tuttora discutibili. Alcuni concorrenti, per esempio, sono stati inseriti lì per generare un effetto-circo Barnum: c'è un taluno Alberto, incappucciato come i monaci inquisitori del Nome della Rosa, il quale canta in modo catacombale ma si “fa un solo accordo e se ne dimentica 18” , come lo sbeffeggia Morgan; c'è un talaltro Stefano, la cui storia dal mercato ortofrutticolo di Torino al palco -e ritorno conseguente al mercato ortofrutticolo-  è estratto dai racconti strappalacrime alla Oliver Twist; e c'è l'Ares, un fustacchione che pare la versione dell'hinterland milanese di Ricky Martin ma i cui genitori sembrano due levigati prof di Oxford. Non scelte felicissime, diciamo. E la giuria difetta, per ora, di quel che nel calcio, un tempo, si chiamava “l'amalgama”. Sì, indubbiamente Morgan, il “senatore” svetta su tutti: gigioneggia che sembra Ugo Tognazzi, anzi un pochino, perfino, a tratti, gli assomiglia; e battuteggia (“Un uomo di grande esperienza è stato bloccato -D'Alessio, ndr-, ora ti rimane soltanto un altro uomo di grande esperienza: me" o “Mi sono sempre visto come un eterno giovane perché sono nato vecchio”); e rincorre Gigi D'Alessio -rassicurante, in palla e tecnicamente mostruoso- al pianoforte; e duetta con Gigi Nel blu dipinto di blu e le “belle canzoni” di una volta. Le stesse belle canzoni di cui Elettra Lamborghini, l'altra simpatica ma incongrua giurata avvolta nel lamè come un cartoon, ignora invece l'esistenza: “Lou Reed non l'ho mai sentito, ma non ero nata non me ne faccio un problema”. E invece, cara Elettra, il problema c'è, eccome, va bene non conoscere la Chanson de geste e il ciclo bertone come le accenna Morgana una concorrente dalla voce impossibile; ma i fondamentali della musica in un programma musicale, sono il minimo sindacale, suvvia. D'Alessio dice di lei che “se ha 4 milioni di followers ci sarà una ragione”, ma contrariamente a lui non penso che spetti a questo programma scoprire il perché.  Gué Pequeno, tra i giurati, sarebbe la scelta giusta per entrare in un mondo, il rap e il trap, che dovrebbe ringiovanire il vecchio format; ma ancora mostra una timidezza inaspettata. Però, a dispetto delle ombre, in The Voice molte sono le luci. Le luci e le voci. Come quella di Eliza G, una professionista che ha sfondato all'estero e vorrebbe tanto farlo in Italia; o quella delle gemelle Sindolls che rappano in albanese mentre l'afro-cuneese 18enne Diablo lo fa in italiano; o di Matteo che di giorno insegna inglese ai bambini dell'asilo; o di Sophia, sarda dai capelli di fuoco in grado d'incendiare il pubblico qualunque cosa intoni. In tutta questa varia umanità che scorre supportata da robusta regia, Simona ci veleggia con la solita perizia e un ritrovato entusiasmo. Si vede da lontano che, in questo frullar di gioventù, Simo sta nutrendo il suo animo da talent scout. Ora si tratta di oliare il meccanismo…  

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