Lucci tra Lele Mora e Emilio Fedeuna crudeltà da Oscar
Reality Sciò su Raidue
All'inizio si prova uno stordente senso d'irritazione, come se l'inchiestista di razza fosse stato risucchiato dal lato oscuro della forza. Uno pensa: non è certo la mission della tv pubblica dar voce a Emilio Fede, piallato dal botulino (“solo due punturine di ialuronico”, balbetta), tagliato fuori, con disonore, dal pubblico consesso; o esaltare la vita da sottobosco sociale di Lele Mora, finito addirittura in galera, uscito da gabbio e allegramente residente in Bulgaria (“Per motivi fiscali. Ora guadagno più di prima”). Uno pensa: questo Realiti Sciò, docufilm di Emilio Lucci -Raidue, lunedì prime time- è uno schiaffo al buon gusto, al giornalismo, alla gente vera che si smazza tutti i giorni. Questo, all'inizio. Però, poi, via via che il racconto di Lucci si srotola nella notte, ti accorgi della sua geniale crudeltà nel descrivere le giornate a spasso con Fede e Mora, al loro crepuscolo. Lucci, lì, diventa Sasha Baron Cohen scaraventato nella Grande bellezza di Sorrentino. Fa incontrare i due in Sardegna mettendoli spalla a spalla: uno con indosso la maschera del “leone della Costa Smeralda, l'altro con quella del “cavallo di razza”. Li accompagna sotto Villa Certosa, in attesa del perdono del loro pigmalione che non li accoglierà. E li lascia cullare nei ricordi dei fasti berlusconiani tra ville, donne, e monumenti a forma di balene; violini in sottofondo, affogati nella nostalgia. Poi Lucci segue Mora nella Napoli nascosta, nei meandri di una fantomatica Accademia Federico II°, dove l'ex re delle star riceve l'onorificenza d'un imprecisato “principato artico” dalla mani di due matrone mezzosoprano: roba che affoga in un surrealismo felliniano. Infine spinge Fede nel grottesco. Lo fa passeggiare nervosamente sotto Palazzo Grazioli; lo fa girare su una vecchia 500 con l'affaticato ardore dei Ragazzi irresistibili di Simon; gli fa ascoltare le confidenze di Lele su Silvio: “Mediaset viene venduta. Pensa che lui ha passato il Natale da solo senza figli, con la Pascale e il cane”. Infine avvolge i due in un sudario di tristezza, scorrandoli in una casa di riposo. Finisce con un'inquadratura livida di Mora, di Fede e di una ultranovantenne sorda, seduti con copertina sulle ginocchia, a guardare Sanremo. Volti cupi, sguardo nel vuoto, il vitreo lucore d'una lacrima. Da Oscar…