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La compagnia del cigno, un Saranno famosi all'amatriciana

Pregi e difetto della nuova fiction stracciascolti di Ivan Cotroneo

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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La compagnia del cigno Foto: La compagnia del cigno
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Dai tempi del giovane Giacomo Leopardi il racconto di ogni adolescenza, di solito, viene ammantato da sfiga cosmica. Figuriamoci quando gli adolescenti finiscono in tv: lì la sfiga si amplifica, ed è l'ecatombe. Sicché, quando su Raiuno è apparsa La compagna del cigno -Raiuno, lunedì, prime time- , fiction su otto studenti del Conservatorio di Milano alle prese con un fatidico destino tra passione e sacrificio, ho subito temuto l'ennesimo scimmiottamento di Saranno famosi. E, in effetti, scimmiottamento un po' lo è.  La trama della fiction prevede, nell'ordine: ragazzi divisi fra le lezioni di musica con un direttore d'orchestra chiamato “Il bastardo” (Alessio Boni, dall'ormone iperrealista quanto la sua depressione che ricorda assai Riccardo Muti); il loro talento da violoncellisti, oboisti, batteristi messo a dura prova dalle tragedie familiari; le loro tragiche famiglie, appunto, composte da genitori ricchissimi e pretenziosi, una madre adultera e una madre morta, l'assassino involontario (pare) di una figlia a cui vorresti spaccare il cranio con un sacchetto di ferraglia e un altro figlio che esce dal terremoto di Amatrice infilando la propria depressione nelle corde di un violino. In più c'è l'affezione per gli ultimi e gli emarginati che si traduce nel personaggio della studentessa cieca ma meravigliosamente stronza e nel giovane zio gay col complesso di essere ignorato dal mondo circostante. Temi così, nulla di particolarmente innovativo, insomma. Tutta storia si regge, a sua volta, sulle piccole storie di sette studenti componenti un'orchestra costretti dal prof bastardo a sostenere il collega amatriciano di cui sopra, se non vogliono finire espulsi. Scambiandosi opinioni e insulti via WhatsUp i ragazzi arrivano a chiamarsi fra loro “La compagnia del cigno” in onore di Verdi cigno di Busseto. Ma potevano chiamarsi tranquillamente “I cugini di Heidi”, “Il mucchio selvaggio del pentagramma” o “Il fan club di Tutti pazzi per amore”, da cui, peraltro mutuano inserti musicali abbastanza posticci con ragazzi che volano dalle finestre alle terrazze di una Milano molto tenerona, roba che fa più Superman che Zavattini. Detto ciò, La compagnia del cigno ha fatto uno strepitoso 24% di share, e la scrittura e la regia del solito Ivan Cotroneo che ha riempito il suo gioiellino di star (inedito Rocco Tanica di Elio e le storie tese nei panni del prof Sestrieri) funziona. E io, come molti, mi ritrovo inspiegabilmente appeso alle paturnie di ragazzini che difficilmente inviterei a pranzo a casa mia…      

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