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L'ispettore Coliandro, il Clouseau bolognese

La nuova (bella) serie del poliziotto di Giampaolo Morelli

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Morelli/Coliandro Foto: Morelli/Coliandro
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Non c'entra una cippa. Tra i tanti sbirri che infestano in questa stagione la tv italiana, l'Ispettore Coliandro (Raidue, mercoledì, prime time) è un maverick, una scheggia impazzita; le sue avventure sono i cavoli a merenda dell'indagine investigativa più analitica. Coliandro, personaggio creato dalla penna aguzza di Carlo Lucarelli, non ha nulla a che vedere coi vari illustri colleghi: con Montalbano, coi bastardi di Pizzofalcone, con Schiavone e polizia cantante. Anzi. Mi ricorda più l'ispettore Clouseau della Pantera Rosa, il detective che incespica nei suoi stessi pensieri, cancella gli indizi, ha frequenti colluttazioni con la logica e col buonsenso, oltre che con le donne. Soltanto che Coliandro rende la propria inettitudine un guizzo artistico, un cammino romanzesco che passa dall'inadeguatezza freudiana alla capacità di risolvere -malgrado se stesso- le situazioni più intricate con formidabili botte di culo. Oggi Coliandro interpretato dal bravo Giampaolo Morelli e diretto dai Manetti Bros è arrivato benignamente alla settima stagione. Ma, agli esordi, mi spiazzava la sua tracotanza, la sua mimica facciale coperta da rayban fuorimoda e il suo machismo di facciata. Nonché il suo maldestro trattare le inchieste come fossero sceneggiature di telefilm americani. Col tempo, invece, il mio senso di spaesamento si è via via trasformato in un cauto fanatismo per questa serie ambientata a Bologna ma che potrebbe tranquillamente essere girata nelle notti incasinate di New York. Coliandro è uno sfigato di talento. Vuoi per la regia, vuoi per il luna park delle sceneggiature, vuoi per la bravura degli attori (menzione speciale per Giuseppe Soleri ovvero Giuseppe Saccà nei panni di Gargiulo, una sorta di Sancho Panza per Coliandro-Don Chisciotte) la serie è un gioiellino, anche se io l'ho onestamente capito tardi. Nella scorsa puntata Coliandro ha incontrato una giovane dottoranda giapponese in storia dell'arte, Kayo, che era testimone involontaria di una spietata esecuzione; e ha deciso di proteggerla nascondendola a casa sua con Kenzaburo il fratello di Kayo, un pentito della Yakuza in grado di disarmare un killer con un cucchiaio. Sono fioccate le battute e le scazzottate con padella che richiamano la mia infanzia allegra immerso nei film di Trinità. Certo, non è Agatha Christie, ma ho riso molto…         

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