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Se guardi Michael Moore la bile ti si ingrossa

Il nuovo documentario anti-Trump su La7

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Moore e Trump Foto: Moore e Trump
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Michael Moore veste come un profugo uzbeko, ha l'occhio e la panza cadenti del democratico sconnesso dai propri ideali ed è, senza dubbio, il prodotto di una partigianeria di sinistra spesso urticante. Detto ciò, rimane uno dei registi e documentaristi più abili del mondo. Nel suo documentario Fahrenheit 11/9' (La 7, lunedì prime time) introdotto da Enrico Mentana, Moore ha riproposto il suo special teatrale Michael Moore in TrumpLand, convertendolo nell'attacco più feroce subito dall'attuale presidente dopo i fumetti di Doonesbury. Moore parte dal racconto di Trump il quale, dopo aver scoperto che la cantante Gwen Stefani guadagnava grazie al reality The Voice più di lui per il suo show The Apprentice, si era spinto ad organizzare una finta candidatura alla Casa Bianca. Era un modo ardito per conquistare l'attenzione dei media e far sì che l'emittente Nbc gli alzasse lo stipendio. Solo che l'Nbc lo licenziò. Epperò Trump, considerato il successo di pubblico di quella messinscena, ci aveva già preso gusto. Da lì la sua prima comica, poi derisa, poi inarrestabile ascesa elettorale fino all'elezione del 9 novembre 2016. Ora, Moore s'è speso nella campagna per Hilary Clinton e, ovviamente, odia Trump. Ma dal ventre costipato e borbogliante del suo Michigan è pure stato il primo a prevedere, di Trump, la vittoria. Nel documentario, una specie di gigantesca seduta psicanalitica, Moore dettaglia i suoi incontri col magnate, ne descrive arroganza, la misoginia (Trump che entra negli spogliatoi delle miss le quali, però, l'hanno lasciato entrare…) e le inadeguatezze culturali; lo tratta con la cattiveria di un Plauto con l'ulcera. Usa, in pratica, lo stesso metodo che anni fa usò con George Bush jr. che gli valse la Palma d'oro. Solo che qui emerge, a posteriori, tutta la temibile fame di potere di Hilary Clinton. Moore, insomma, invoca, inascoltato, l'autocritica della sinistra per l'elezione di Trump. E probabilmente non è un caso che proprio Diego Bianchi in arte Zoro, altro eretico dem, sia stato il primo a Propaganda Live -sempre su La7- ad ospitare Moore mentre spiegava che “la Clinton ha avuto più voti Trump” omettendo di dire che trattavasi dello stesso democraticissimo sistema elettorale che, per esempio, fece eleggere Kennedy. Insomma, vedendo Moore mi s'è gonfiata la bile. Ma per contestare le idee avversarie è sempre meglio conoscerle…    

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