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Perchè il pur bravo Zoro su La7 non fa ascolti

Analisi di Propaganda Live

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Diego Bianchi a Propaganda Live Foto: Diego Bianchi a Propaganda Live
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Diego Bianchi in arte Zoro rimane quell'incrocio sfrigolante di satira tra Gigi Proietti e Lenny Bruce a cui la tv intelligente ci aveva abituato.  Non si discute. Ma, se  Zoro rimane il fustigatore di sempre e la sua Compagnia delle forca (per usare un'espressione di Magnus, Makkox capirà) è la stessa di Gazebo, perchè Propaganda Live (La7 venerdì prime time) si ferma a un miserrimo 3,4% di share?  Per due motivi. Primo: perchè è troppo lunga. Gazebo era un esprit alla Arbore incuneato nella notte di Raitre,  grazie ad un'idea di Andrea Vianello che aveva prelevato Zoro dai cazzeggi al Premio Ilaria Alpi. Propaganda Live, di Gazebo, è la  dilatazione proustiana: in tre ore e passa di programma le stoccate di Diego, a lungo andare, si diluiscono, perdono forza. Prendete l'altra sera: c'erano i soliti tweet commentati dei telespettatori ma poi la carrellata degli ospiti e degli argomenti era  raffazzonata: lo «spiegone» politico di Marco Damilano (bravo, come i colleghi ospiti, Paolo Celata e Francesca Schianchi) ma anche i manifesti elettorali sghembi di Civati e Berlusconi; le dimissioni del grillino Borelli e i discorsi di Grillo durante Rimborsopoli ma anche i «fascisti sul Nilo» di Bonito Olivo sul caso Meloni contro il Museo Egizio; due ospiti qualsiasi che hanno vinto, in simil-Salvini la cena con Memo Remigi ma anche Remigi che canta Laura Pausini; una pretenziosa performance registica del grande cartoonist Gipi ma anche Savino che imita Favino.  Un Helzapoppin che si salvava solo grazie all'ossigeno insufflato dalle vignette e dai racconti grafici di Makkox (L'onestà di essere Ernesto, dedicato al M5S). Secondo motivo di abbandono del pubblico: il romanocentrismo. Eddài. Le parlate romane, il climax borgataro, l'idea che il mondo giri attorno al ventre della Capitale può essere una cifra narrativa in un programma di nicchia. Ma in prima serata, allo spettatore di Cuneo, Milano o Andria  cosa può fregare di una  consigliera M5S al Comune che giudica  feticista una cinerassegna in una piazzetta romana? (E meno male che al direttore di La7, Andrea Salerno, è passato il capriccio di fare l'attore nelle minifiction dentro il format. Spero...)    

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