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Un Romanzo famigliareche sa troppo di polpettone ottoscentesco

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Romanzo famigliare Foto: Romanzo famigliare
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Il mio amico Antonio Marziale, l'Osservatore dei minori per antonomasia, il Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Calabria, sostiene che la fiction Romanzo famigliare (così, alla Natalia Ginzburg, Raiuno, martedi e mercoledì, prime time) sia puro gas nervino per gli adolescenti, i preadolescenti e, perfino, gl'infanti. E ne ha chiesto lo slittamento in altra fascia oraria.  Direi che è un tantinello esagerato. E' vero che la tematica del romanzone di Francesca Archibugi è abbastanza vischiosa da inalare. C'è la figlia sedicenne messa incinta dall'insegnante di clarinetto (Arbore docet…) come la madre che invece sposa un ufficiale di marina; il quale, dopo anni, teme che la figlia sia di un altro, dato che nei giorni del concepimento era “in consegna”. C'è il nonno, miliardario ebreo abbastanza spietato, che danza minacciosamente sulla soglia dell'Alzazheimer  e che propone aborti a go go; ma l'intervento “riparatore” non riesce per questioni tecniche. C'è anche il ragazzo portatore di handicap che concupisce la figlia sedicenne incinta, epperò finisce in galera per colpa  mamma e nonna spacciatrici che gli inseriscono la droga nel casco del motorino. Insomma, la fiction è affollatissima di tutti i tradizionali clichè del racconto d'appendice traslato nella Livorno dei giorni nostri, in cui spicca la location inconsueta dell'Accademia Navale. Alcune scene, perfino, si svolgono su una nave, da dove un allieva ufficiale occhieggia timida al marito confuso che vede nel mare l'unica oasi di pace, eppoi capisci perché è confuso. E poi si nota anche un accenno al disatro di Chernobyl, un altro alla Shoah, un altro ancora alla borghesia aspirazionale di certi militari. Gli interpreti sono di pregio anche se non nella massima forma (Giancarlo Giannini e la nevrotica Vittoria Puccini su tutti);  la miglior battuta è della ginecologa Anna Galiena, “questo studio è più sicuro dell'ufficio di Obama”. Tutto scorre grazie alla scafata professionalità della regista Francsca Archibugi, anche se si poteva risolvere, forse in meno di tre puntate rispetto alle sei previste. Ma di quello che scorre nulla rimane impresso davvero. Anche per questo, caro Marziale, dubito che qualche ragazzino rimanga traumatizzato da un soggetto che farebbe sorridere i drammoni di Dickens…                  

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