Con Arbore lo swing si fa carne
Impazza l'immortale Renzo in tv
Vale, per il dottor Renzo Arbore, lo stesso principio usato per i film di John Ford: nei primi dieci programmi televisivi di sempre ce n'è sempre almeno uno di Arbore. Ognuno si scelga il proprio. A parlare di Renzo Arbore, il Louis Armstrong della tv, lo swing immortale applicato ai palinsesti, si rischia di ruzzolare nel banale. Quindi, dopo aver visionato, appunto, Quelli dello swing (Rai Replay) col maestro in giacca salmonata e aria da gigione mentre racconta all'ex discepolo Gegè Telesforo la mega mostra allestita in suo onore al Macro di Roma per celebrare i cinquant'anni di carriera; be', dopo tutto ciò, mi limiterò a tre brevi osservazioni. La prima: Arbore è uno di quei casi in cui il talento si palesa in modo naturale. Nonostante ne sia assente da molti anni come protagonist, quando lo showman si materializza in uno studio tutto diventa racconto ironico, narrazione, satira di costume: i gilè con le conchiglie e le nature morte con custodia di sax, i juke box che raccontano il boom, le statuine di Elvis, le cravatte gelato, le memorabilia della sua Orchestra italiana in concerto: un pezzo d'orgoglio patriottico che vaga come uno spettro gentile nei teatri di tutto il mondo, a prescindere dalle crisi. Seconda osservazione: ogni volta che Arbore s'appalesa la curva d'ascolto s'impenna. E' matematico. E avvenuto anche, qualche giorno prima con Fazio a Che tempo che fa. E me lo ricordo perfino in una piccola e mattutina trasmissione di viaggi con Enza Sampò, in cui raccontava come fosse possibile usare, in caso di necessità “usare un solo secchio d'acqua al giorno” con tecniche inaudite di sopravvivenza. Arbore catalizza, non ci son santi. E' come se, nelle famiglie Auditel, al passaggio distratto della sua erre moscia in forma di cometa nostalgica che si dimena nei ricordi, il nonno davanti alla tv urlasse: “Ehi, gente, c'è Arbore in tv!”; e tutti si radunassero, spontaneamente, in un'allegra rimpatriata tra amici. Terza osservazione. Arbore, oltre ad aver modificato la grammatica stessa del piccolo schermo (ma anche della radio,con Alto gradimento) , con il suo vaporoso tocco alla Lubitsch –o alla Totò, se volete- col suo eclettismo (tv, radio, musica, cinema) è stato talmente unico da non essere riuscito a lasciare degni eredi. Purtroppo. Dopo la sua apparizione, il telecomando, per caso, mi ha spinto su un programma di comici. Ed è lì che, come diceva Calvino, ho davvero capito l'importanza dei classici…