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Hotel Patria, la bontà fino alla narcosi

programma su Raitre

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Mario Calabresi è un uomo buono, buonissimo. È talmente buono che quel vocione baritonale, il beccheggio imbarazzato davanti alla telecamera, e la statura che lo fa tanto assomigliare a Paul Bunyan -il gigantesco boscaiolo simbolo dell'America che gli piace tanto- insuffla nello spettatore un senso quasi diabetico dell'esistente. La sua bontà -o “mitezza” come la chiama Repubblica, o “didascalico impaccio” come propende il Corriere della sera- spalmata su “Hotel Patria” (Raitre lunedì prime time) è talmente osmotica che lo spettatore che resiste a seguirne “la passione, il talento e il coraggio degli italiani” senza cadere nella narcosi, se ne bea. Calabresi, mentre conduce ce l'immaginiano quasi vestito da Babbo Natale che scampana ridendo col naso («Oh oh oh...») in un grande magazzino. E il racconto delle sue storie di italiani perbene, dell'Italia dei buoni propositi e dei piccoli eroismi non sarebbe affatto una cattiva idea. Il macellaio divenuto abile costruttore di barche a vela; gli ingegneri piemontesi emigrati che mangiano la bagnacauda in California; i giovani cuochi -stranieri che vogliono imparare in Italia, italiani che migrano all'estero-: sono tutti edificanti esempi di uomini di buona volontà. Forse sono troppo edificanti. La narrazione diventa piatta, la drammaturgia non emerge, l'empatia non arriva alle viscere. Calabresi è un ottimo giornalista di carta stampata; ma, Licia Colò, al confronto, sembra Frank Capra. In più, nonostante il legittimo battage attorno al programma e al libro di Calabresi (vedi l'intervista della Sagramola) che ad esso s'ispira, il potente direttore della Stampa si mette, curiosamente, spesso al centro della scena. Lasciando, però, sfocato lo sfondo. È il caso dell'intervista a Jovanotti, dove il giornalista, a botte di ricordi e commenti, soverchiava l'ospite. Rischioso farlo, se non sei Montanelli. Hotel Patria si tiene su un 5,8% di share. Pochino. Superato perfino da Lerner. Doveva essere un albergo extralusso, per ora è un tre stelle senza frigobar. E non conta la “struttura teatrale di stampo elisabettiano” che imbriglierebbe il conduttore. Il teatro elisabettiano esaltava la forza del racconto. Che qui per ora manca, a scapito di una bontà strepitosa...

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