L'ex presidente contro la deriva linguistica femminista
Brunella Bolloli
Alessandrina, vivo a Roma dal 2002. Ho cominciato a scrivere a 15 anni su giornali della mia città e, insieme a un gruppo di compagni di liceo, mi dilettavo di mondo giovanile alla radio. Dopo l'università tra Milano e la Francia e un master in Scienze Internazionali, sono capitata a Libero che aveva un anno di vita e cercava giovani un po' pazzi che volessero diventare giornalisti veri. Era il periodo del G8 di Genova, delle Torri Gemelle, della morte di Montanelli: tantissimo lavoro, ma senza fatica perché quando c'è la passione c'è tutto. Volevo fare l'inviata di Esteri, ma a Roma ho scoperto la cronaca cittadina, poi, soprattutto, la politica. Sul blog di Liberoquotidiano.it parlo delle donne di oggi, senza filtri.
Stavolta non si può dire nulla a Giorgio Napolitano, se non che ha fatto bene. Premiato ieri alla Fondazione Francesco De Sanctis, l'ex presidente della Repubblica non ci ha pensato due volte e, di fronte a una platea illustre, ha preso il microfono e ha lanciato la sua piccola invettiva contro chi sta stravolgendo la lingua italiana in nome di una rivendicazione al femminile che, in realtà, non porta a maggiore rispetto, ma semmai a una certa ridicolaggine. Ricevendo la targa dalle mani del presidente della Camera, Laura Boldrini, paladina della crociata affinché tutte le parole delle istituzioni finiscano con la A, Napolitano ha detto: . Una frecciata alla Boldrinova, ma anche alla grillina di Roma, Virginia Raggi, e forse anche al neo sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi, che pretende di farsi chiamare "onorevole sottosegretaria". Boldrini non se l'aspettava: , ha scherzato. E il siparietto è piaciuto alla platea più d'accordo con l'ultranovantenne Napolitano, lucido come un ragazzino, che con l'ex portavoce dei rifugiati. Stupisce, poi, che proprio la Boschi ambiziosa e "giaguara" com'è, ami il termine sotto-segretaria. Di segretaria l'unica, a memoria, veramente degna d'invidia è quella a cui il patron di Esselunga, Bernardo Caprotti, ha lasciato parte della sua cospicua eredità.