Raggi nel caos, Appendino libera. E si vede
Virginia vittima di un contratto capestro che la blocca
Nessuno ha detto che governare a Roma sarebbe stata una passeggiata, ma il marasma attorno a Virginia Raggi e alla sua giunta è tale da fare pensare che il Movimento Cinquestelle, dopo 70 giorni, non ha ancora smaltito la sbornia della vittoria. Di sicuro non sembra avere una progettualità definita la sindaca Virginia Raggi, che oltre a non brillare certo per la simpatia e il calore umano, sta inanellando una serie di gaffe clamorose, più da dilettanti allo sbaraglio che da guida di una Capitale. Non si sa se il problema sia da attribuire tutto alle faide interne, o alla cocciutaggine della signora che, da settimane, si ostina a fare di testa sua e, al di là dei sorrisi dal balconcino del Campidoglio, si rivela abbastanza sola in questo momento di grande tensione. Non si sa bene ancora, cioè, se il problema sia solo nei due o tre nomi che Virginia ha voluto e imposto nel suo staff (e che è lecito un sindaco pretenda di scegliere), o se c'è anche altro di non detto in questo drammatico inizio di legislatura che ha registrato il record di ben 5 dimissioni in un giorno e di almeno 4 caselle in bilico al momento in cui scriviamo (gli assessori Muraro e De Dominicis, il vicecapo di Gabinetto Marra e il capo segreteria Romeo), per non parlare dell'ufficio stampa e delle altre nomine stoppate. Forse Virginia Raggi semplicemente pensava, dopo avere vinto le elezioni con consenso bulgaro, adesso decido io, nomino chi mi pare. Ma ha avuto la colpa o l'ingenuità, la fanciulla, di avere firmato il contratto capestro con il M5S pena l'espulsione e il ritiro del simbolo. Contratto che invece Chiara Appendino, sindaca grillina di Torino, non ha firmato. E che ora le consente di muoversi in assoluta autonomia senza il fiato addosso dei parlamentari del Movimento e con tutte le energie rivolte a fare bene nel capoluogo piemontese. Come sta facendo. Certo Torino non ha i problemi di Roma e non esce da mafia capitale, ma questa non è una scusante per l'indegno spettacolo che stanno offrendo i grillini capitolini, troppo preoccupati di infilare i propri uomini nei posti chiave, piuttosto che della rinascita della città.