Il coraggio si chiama Letizia
Leviti: una vita da lottatrice, sempre in prima linea fino alla fine
Ho conosciuto Letizia Leviti a Potenza nel 2006, entrambe inviate sul caso Vallettopoli che tenne banco quell'anno: lei era già il volto più noto di Skytg24, sempre mandata sul fatto del giorno sia in Italia che all'estero, io solo una cronista "della romana" alle prese con lo scandalo che portò in cella Vittorio Emanuele. Mi colpì subito. Perché era bella come appariva in video, ma ancora di più per la sensibilità, la cortesia, la dolcezza: non se la tirava per niente. Non faceva la primadonna, non ci guardava dall'alto in basso, non disdegnava di cenare insieme anche tardi, si preoccupava degli altri e non, come certe colleghe, della scollatura giusta o del capello stirato. Aveva l'innata fortuna di essere sempre impeccabile, anche senza trucco. Nel suo messaggio struggente di addio ai colleghi, ha detto di avere avuto tutto quello che aveva desiderato. In realtà, Letizia non ha avuto una vita semplice e l'ho capito quando mi è capitato di fare un viaggio con lei in treno. La Spezia-Roma, si tornava al lavoro dopo le vacanze. Lei dalla sua amata Lunigiana, io dall'appennino tosco-emiliano proprio a un passo da Pontremoli e dalla sua Bagnone. E' salita sul treno carica di valigie e borsoni, per mano alla sua mamma che non stava bene e che lei preferiva avere con sé nella casa che aveva affittato poco lontano dagli studi di Sky. L'ha fatta coricare sui sedili e l'ha accudita con tutto l'amore possibile. Quella mamma diventata figlia era tutto, allora, per Letizia Leviti, che a soli 10 anni aveva perso il papà e da ragazza aveva dovuto affrontare anche la malattia della madre. Era maturata in fretta, aveva dovuto farlo. L'ho rivista anni dopo ed era felice: si era sposata ed era nato il primo bambino, aveva scritto il suo libro sulle lettere dal fronte dei nostri militari, lo aveva presentato al ministero della Difesa.