Donald Trump, all'Onu un concentrato della sua dottrina: tono pacato, contenuto durissimo
Il tono pacatissimo, il contenuto durissimo: e' stato un concentrato della dottrina Trump il discorso con cui ha investito l'Assemblea dell'Onu, ma anche un programma valido per la campagna della rielezione fra un anno. Il presidente americano ha esposto la sua nota filosofia anti-globalista (America First), sostenendo esplicitamente che ogni paese ha il dovere-diritto di fare l'interesse della propria gente, di farla crescere economicamente nella indipendenza e nella democrazia, di renderla forte e potente militarmente, tutto nel pieno rispetto reciproco con le altre nazioni. La pace e' un obiettivo che ogni stato deve coltivare prendendo a cuore la sorte dei propri cittadini, facendoli vivere meglio, piu' ricchi e piu' liberi. E Trump ha ovviamente fornito l'America come esperienza e modello, parlando anche al pubblico domestico per rimarcare orgogliosamente i risultati ottenuti con le sue politiche. Ha ricordato i record raggiunti nei tassi di disoccupazione tra i neri, gli ispanici, gli asiatici, “grazie ai tagli delle tasse e delle regolamentazioni”. Ha detto che il suo governo ha investito pesantemente nella modernizzazione e nel potenziamento delle forze armate, che e' la vera garanzia di sicurezza USA in un mondo in cui le situazioni di crisi sono ancora numerose e pericolose. E Trump le ha elencate tutte, senza evitare attacchi espliciti, e anche mettendo l'accento sui diritti interni violati dai regimi-canaglia. Ha insistito “sulla difesa della liberta' religiosa repressa nell'80% del mondo”, ma ha anche detto che vanno rispettati i diritti e le battaglie del movimento LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali). Sull'Iran ha distinto tra i sudditi e i governanti, schierandosi a difesa dei primi che sono repressi e accusando i secondi delle azioni di guerra nella regione e di sponsorizzazione del terrorismo. Ha garantito, comunque, che a Teheran non sara' mai concesso di costruirsi la bomba nucleare. Inflessibile difensore di Israele, Trump ha auspicato il miglioramento delle relazioni di Gerusalemme con gli stati arabi confinanti. Il presidente non ha esitato a citare Hong Kong, schierandosi a protezione della gente che manifesta da mesi per respingere l'abbraccio repressivo e illegale di Pechino, smaccata violazione dell'accordo firmato con la Gran Bretagna. E' rimarchevole che lo abbia fatto durante la lunga digressione dedicata ai patti di libero scambio con gli altri stati, partendo proprio dall'ingresso nel 2001 della Cina nel WTO (organizzazione del commercio internazionale). Trump ha accusato il regime comunista di aver sfruttato illegalmente la presenza in quell'organismo globale, manipolando la sua moneta, finanziando le proprie aziende con aiuti di stato, forzando la cessione di licenze e rubando le proprieta' intellettuali ai partner internazionali. Cio' ha prodotto uno sbilancio tra import ed export che Trump e' impegnato a correggere con le tariffe imposte ai prodotti cinesi, una “guerra” che il presidente non ha fretta di finire convinto che la Cina, cosi' come l'Iran sottoposta a gravi sanzioni economiche, siano in condizioni di debolezza rispetto agli Stati Uniti. Trump ha poi citato le altre contese commerciali in corso con un tono ottimistico. Ha parlato dei progressi con “l'amico Boris Johnson” nel preparare il terreno per un patto USA-Gran Bretagna dopo la conclusione della Brexit. Ha annunciato che domani si vedra' con il leader Abe del Giappone per lavorare ad un grande patto bilaterale, mentre l'accordo con Canada e Messico e' stato gia' firmato dalla Casa Bianca e aspetta il voto bipartisan del Congresso Usa. A proposito del Messico, Trump ha lodato e ringraziato per nome il presidente Andrés Manuel López Obrador “per la collaborazione offerta agli USA schierando 27mila soldati al confine meridionale per fermare il flusso dei migranti illegali” dai paesi centroamericani. Il presidente USA ha pero' pure citato positivamente i governi di Guatemala, Panama, Honduras e San Salvador per come cooperano nel gestire l'emergenza delle migrazioni clandestine. Rivolto a quei popoli, ha invitato la gente a non pagare i contrabbandieri che organizzano il traffico umano: “non mettetevi in viaggio rischiando la vita senza avere speranze di entrare in America”. Trump ha infine dedicato i suoi strali ai regimi comunisti del Venezuela, di Cuba e del Nicaragua. Le condizioni di vita in questi paesi sono miserevoli, e stranote alla opinione pubblica internazionale. Ma Trump ha voluto farlo sapere anche alla audience interna americana, perche' di questi tempi il comunismo e' diventato un argomento di moda nel dibattito politico, ed e' destinato ad occupare gran parte della campagna repubblicana per il bis alla Casa Bianca e per la riconquista del Congresso tra 14 mesi. Elizabeth Warren e Bernie Sanders non fanno mistero di avere idee estremiste di sinistra, ed hanno probabilita' serie di vincere la nomination. Accostarli a Maduro e ai cubani e' automatico. Di sicuro, almeno uno dei due pare destinato a contendere la leadership a Joe Biden fino all'ultima primaria Democratica che si terra' nella primavera del 2020. Fino a quel momento, come minimo, Trump usera' alla nausea lo slogan “l'America non sara' mai un paese socialista”. La platea dell'ONU e' stata una piattaforma ideale per lanciarlo a livello globale. di Glauco Maggi