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Fede, un comunista tra le Belve

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  Lui sognava una diretta da Arcore, invece si è dovuto accontentare dei militanti di Vendola. La nuova vita di Emilio Fede, ex inviato di guerra Rai e direttorissimo del Tg4, è ripartita dalla strada, ieri, nel ruolo di cronista molto speciale di Giuseppe Cruciani e David Parenzo a Radio Belva, su Rete4.  Primo servizio, in collegamento in diretta, da una sede romana di Sel, insomma a casa dei comunisti. «Abbiamo mandato Fede ai servizi sociali», scherza Parenzo. «Solo noi abbiamo l'inviato condannato», dice Cruciani.  E Fede sta lì, con lo sguardo magnetico (pure troppo), il microfono pronto e la battuta ancora di più, a fare quello che anni fa i suoi schiavi, pardon giornalisti, facevano per lui: il Paolo Brosio. Chiama Borghezio «Porchezio», ovviamente apposta; si arrabbia coi conduttori che non lo fanno parlare, maltratta e si fa maltrattare.  Si può dire tutto tranne che Emilio Fede non sia autoironico. Almeno in tv. Le sue comparsate al Grande Fratello o in altri varietà sono rimaste pietre miliari, e accettare di passare da direttore a inviato su Rete4 non lo vive come un declassamento. In fondo per lui è un ritorno a casa. Dopo una cacciata che non ha mai digerito.  Tutto sommato Fede, ieri,  era l'elemento più rassicurante del pazzo esordio di Radio Belva. Per il resto, come aveva onestamente anticipato  Cruciani alla vigilia, è tutto un gran casino. Il conduttore riesce a dire una parolaccia nei prima trenta secondi di programma. Un suk che  non c'entra nulla con Rete4, ancora meno con una prima serata, ma anche queste sono cose che Cruciani sapeva. La cosa più vicina a una Zanzara in versione televisiva è stata creata, di più non potevano fare per portare la radio nel piccolo schermo. Un po' di talk, un po' di classifiche, tanta gente in studio, Albe Parietti, Ciccioline, Annarelle, atmosfere vagamente chiambrettiane, Lampedusa, graffi politici, scherzi, geniali servizi sull'eterosessualità, Sgarbi con che ha insultato i conduttori: «Tu volevi candidarti con An, me l'ha detto Fini», dice a Cruciani, «e tu con la Lega», rivolto a Parenzo. «Leccaculo», a tutti e due. C'era gente mascherata, uomini con la kefiah, pupazzi a forma di capra. A un certo punto abbiamo temuto che tra la folla spuntasse Paolini.  Una grande confusione. E forse proprio lì sta il bello. O almeno il diverso. (Ovviamente fino alla rissa finale di Sgarbi: una roba vista e rivista in tv già duemila volte).

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