Nanni Moretti dittatore di giuria
A Cannes il regista italiano detta legge (e i comandamenti)
alessandra menzani Il confine tra stima, timore reverenziale e autentico terrore a volte può essere sottile. «Non c'è nulla che abbia più valore, in questo campo, dell'abilità di guadagnarsi il rispetto delle persone facendo sì che scambino la paura per amore», diceva Philip Seymour Hoffman in una scena del film politico Idi di marzo. Forse questo è il sentimento che la stampa, gli addetti ai lavori e i colleghi hanno nei confronti di Nanni Moretti presidente di Giuria a Cannes. La Francia lo ama, si sa, l'ha premiato con il Leone d'oro per La stanza del figlio e già lo volle in giuria nell'edizione del Festival del 1997. Il fatto che poi Nanni abbia ostentato il suo odio per Silvio Berlusconi l'ha fatto adorare ancora di più. Questo amore, oggi che Moretti è in pratica quello che comanda e decide chi vincerà Cannes, è diventato sudditanza. poco democratico Lui, alloggiato all'hotel Gray D'Albion (non al Carlton) nella suite di 180 metri quadrati (prezzo da settecento a mille euro per una notte) che già fu occupata dal presidente cinese Hu Jintao durate il G20, avrà sicuramente letto l'articolo di Paris Match che ne tratteggia un profilo da despota. Dittatore di giuria più che presidente di giuria. Il giornale si chiede: «Sarà un tiranno?» e snocciola una serie di aneddoti sul carattere non proprio democratico di Nanni quando si è trovato nella giuria di qualche kermesse cinematografica. Ricorda che quando Moretti fu membro di giuria di Isabelle Adjani nel 1997, il regista italiano sembra si sia battuto come un dannato per far ottenere al suo beniamino iraniano Abbas Kiarostami la Palma d'oro per Il sapore della ciliegia e per impedire a Il dolce domani di Atom Egoyan di ottenere il premio ex-aequo. Nel 2001 l'autore di Habemus Papam fu presidente del Festival di Venezia. Si mostrò intransigente sulla scelta del premio più ambito imponendo il Matrimonio indiano di Mira Nair come Leone d'oro e lasciando a Dog days di Ulrich Seidl solo il Gran premio della giuria. Insomma gli altri giurati - il colorato stilista Jean Paul Gaultier, gli attori Diane Kruger ed Ewan McGregor, il regista americano Alexander Payne (Paradiso Amaro), quello con cui, pare, abbia più feeling, il cineasta di Haiti Raoul Peck, la britannica Andrea Arnold, la palestinese Hiam Abbass e l'attrice francese Emmanuelle Devos - pare che contino quanto Nicolas Sarkozy dopo le ultime elezioni presidenziali. Praticamente zero. i comandamenti Sui giornali francesi è tutto un interpretare il suo gusto in quanto a film e immaginare quello che farà, manca poco che non gli rubino la tazzina del caffè dal tavolino del bar per leggere il futuro suo e di quello dei registi in concorso. Quando Nanni qualche giorno fa ha stroncato la pellicola francese The Artist, orgoglio nazionale perché pluripremiata agli Oscar («Non ne condivido l'entusiasmo generale»), tutti hanno titolato sul suo Verbo. È l'Anna Wintour della Croisette. Nostro Signore del cinema ha già dettato alle pagine di Liberation i quattro comandamenti del giurato perfetto. Il redattore del quotidiano per un attimo si è sentito Mosè. Eccoli: «Uno: non applaudire, né prima, né dopo le proiezioni, perché sarete osservati e il minimo gesto sarà intepretato. Due: vedere tutti i film, ovvio, dall'inizio alla fine. Tre: fare spesso delle riunioni. Quattro: non andare alle feste dei film in concorso». Insomma, roba che nella dittatura di Mao c'era più flessibilità. Che l'ego del regista nato a Brunico (Bolzano) sia abbastanza sviluppato lo faceva capire il grande Dino Risi con la sua celebre frase. Quando guardava un'opera di Moretti, diceva: «Nanni, spostati che voglio guardare il film». Moretti l'italien è a Cannes per «vedere buoni film, film che non abbia mai visto cinquantamila volte», come ha confidato al direttore artistico, l'impettito Thierry Frémaux che su Twitter definito il regista italiano «concentrè, concernè, honorè» e infatti alla conferenza ufficiale ha mostrato esattamente di essere concentrato, interessato, onorato. Pare che dal suo hotel ammiri il mare Mediterraneo per ore, concede ai fotografi timidi cenni di saluto poi tira dritto, non parla quasi con nessuno. Insomma il divo è lui. Tiranno? «Sarò una specie di capoclasse», minimizza Nanni Moretti, «ci mancherebbe che non fossi un presidente democratico, purtroppo lo sono». Pochi per la verità ci credono. Ammette di pretendere molto dai suoi “compagni di banco”: «Voglio che ci vediamo spesso, è importante dedicare a tutti i film la stessa attenzione e lo stesso rispetto quindi faremo riunioni non una volta ma spesso, ogni due giorni, parlando dei quattro film appena visti». Insomma una presenza che si nota abbastanza, carismatica senza dubbio anche se ai confini dell'autoritarismo. In Ecce Bombo Nanni si chiedeva «mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?». A Cannes non ha più bisogno di porsi quel tipo di domanda. Conosce già la risposta.