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Tim, ecco il piano per separare la rete: verso il trasloco 30 mila dipendenti

Tobia De Stefano
Tobia De Stefano

Mi sono laureato in legge e me ne infischiavo dell'economia, poi ho iniziato a fare il giornalista, gavetta-collaborazioni-pochi quattrini, e ho capito che senza soldi non si cantano messe. Da quel momento la gestione dei risparmi è diventata la mia passione. Ed eccomi qui a curare un blog sui “Vostri soldi” per il sito più irriverente che potete trovare in rete.

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«...Ci stanno dicendo che a breve arriverà un annuncio shock. Circa 30 mila persone si staccheranno da dipartimenti tecnologici, servizi ai clienti e vendite per riversarsi in una società "parastatale" di fibra e rete guidata da Cassa Depositi e Prestiti... Gran parte del debito finirà proprio lì». Questo messaggio circola da qualche giorno ai piani alti, tra quadri e dirigenti, di Tim e conferma le ultime indiscrezioni sul futuro del colosso delle telecomunicazioni. Il destino è quello della separazione tra una società della rete (NetCo) e una dei servizi (ServiceCo). Nella prima dovrebbero confluire i 30 mila dipendenti di cui sopra, nella seconda gli altri 13 mila. Insomma non ci saranno tagli ma molte persone dovranno fare training, essere riconvertite e nella sostanza imparare un nuovo mestiere. Il primo gruppo dovrebbe tenersi anche una buona parte dei debiti - si parla di quasi 22 miliardi -, mentre nel secondo ne resterebbero poco più di 7 rispetto ai 29 complessivi.

IL PIANO USA

Il punto è: chi dovrebbe portare a termine questo progetto? E qui nei messaggi di cui sopra non c'è nessun riferimento. Kkr, il fondo Usa che il 20 novembre ha presentato una proposta d'Opa per 0,505 euro ad azione (ieri il titolo ha chiuso in negativo, meno 1,24%, a 0,4373) sta aspettando in silenzio il via libera alla due diligence propedeutica all'offerta pubblica d'acquisto. Per adesso non sono in programma altri Cda prima del 2 marzo, ma secondo le voci circolate negli scorsi giorni la pazienza degli americani non supererà la fine di gennaio. Poi ci sarà l'Opa, che da amichevole diventerebbe praticamente ostile. Vedremo. Nella grandi linee il progetto Usa è chiaro: l'obiettivo è trarre valore dalle singole società del gruppo assicurando al governo che gli asset strategici, quindi la rete, Sparkle (fibra e cavi sottomarini) e Telsy (cybersicurezza) restino nelle mani dello Stato. E in questo senso la divisione in due del gruppo potrebbe fare il gioco del private equity che ha nel proprio board Xavier Niel, fondatore della compagnia telefonica Iliad che potrebbe poi essere interessato ad acquisire la società di servizi depurata da buona parte dei debiti. Comprensibile la preoccupazione dei principali sindacati del settore che hanno chiesto un incontro urgente al nuovo dg Pietro Labriola che con ogni probabilità diventerà ad a gennaio.

IL MURO FRANCESE

E Vivendi? Sembra che i francesi (primi azionisti di Tim con il 23,8%) continuino a parlare con Cassa Depositi e Prestiti (secondo azionista con il 9,8%). Obiettivo? In primis creare una minoranza di blocco nel caso gli americani andassero avanti con il progetto dell'Opa. Ma soprattutto elaborare un piano alternativo che a quanto si apprende sarebbe presentato a ridossa del Cda del 2 marzo. Il progetto prevederebbe anche in questo caso lo spin off della rete e il controllo di Cdp, ma attraverso Open Fiber (la società della fibra ottica controllata con il fondo australiano Macquarie), mentre la società di servizi resterebbe a Vivendi. Le differenze? Il piano Kkr passerebbe attraverso un'Opa che garantirebbe incassi immediati agli azionisti, quella di Vivendi punta allo scorporo della rete con il titolo ancora quotato e quindi i soci sarebbero partecipi dell'eventuale sviluppo della rete. Insomma i vantaggi arriverebbero in tempi necessariamente più lunghi. Advisor e consiglieri sono a lavoro sui dettagli. Che mai come in questo caso faranno la differenza.

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