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L'Europa mette a rischio 20 milioni di case degli italiani

Tobia De Stefano
Tobia De Stefano

Mi sono laureato in legge e me ne infischiavo dell'economia, poi ho iniziato a fare il giornalista, gavetta-collaborazioni-pochi quattrini, e ho capito che senza soldi non si cantano messe. Da quel momento la gestione dei risparmi è diventata la mia passione. Ed eccomi qui a curare un blog sui “Vostri soldi” per il sito più irriverente che potete trovare in rete.

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Non c’è niente da fare. Tra l’Europa e il patrimonio immobiliare degli italiani c’è una questione in sospeso. A ogni giro di valzer arriva un nuova proposta, per via diretta o indiretta, che prova a zavorrare la tenuta delle nostre abitazioni. A Bruxelles l’esenzione dell’Imu sulla prima casa non è andata mai giù e la Commissione appena possibile ci ricorda che «Le imposte patrimoniali ricorrenti sono una fonte di entrate più favorevole alla crescita rispetto alle imposte sul lavoro». Quindi bisogna insistere sulle prime e desistere sulle seconde. 


Sarà anche così. I numeri però dicono che già oggi paghiamo 51 miliardi di imposte l’anno sul mattone (22 solo di Imu), che il 72,4% degli italiani è proprietario dell’alloggio in cui vive, contro 51% della Germania e il 64% della Francia, e che siamo ai primi posti nell’Unione per numero di famiglie “non agiate” che è costretto a versare balzelli sulla casa spropositati rispetto ai redditi che guadagna. 
Questioni che per l’Europa lasciano il tempo che trovano. Ieri in Commissione Finanza alla Camera si è iniziato a parlare della riforma del catasto (“spinta” dall’Ue) che dovrebbe dare un’altra bella botta alle nostre abitazioni, mentre l’ultima novità di Bruxelles prende spunto dalla grande battaglia per l’ambiente e dalla necessità di tagliare l’emissione di CO2 nei prossimi anni. 

COLPO ALL’EDILIZIA

Anche l’edilizia deve dare il suo contributo e tra pochi giorni, il 14 di dicembre, la Commissione indicherà i nuovi standard energetici che saranno necessari per vendere o affittare un immobile. Il testo non definitivo - sono previste altre due riunioni - obbliga gli Stati membri a garantire che gli edifici e le unità immobiliari vendute o affittate raggiungano almeno la classe di prestazione energetica “E” per le operazione concluse il primo gennaio del 2027, la classe di prestazione energetica “D” per quelle successive al primo gennaio 2030 e la classe “C” per gli affari conclusi dopo il primo gennaio del 2033. Per le abitazioni che si trovano nei condomini i termini slittano al 2030, 2035 e 2040.
Potenzialmente, evidenziano da Confedilizia, parliamo di circa 36 milioni di immobili, cioè tutti quelli accatastati in classe A. Di questi la grande maggioranza, circa 20 milioni, sono ancora in classe G, quindi la più bassa. Un esempio? Per scalare almeno due “gradini” (la “E” chiesta dall’Europa dal 2027) in alcune abitazioni si dovrà ridurre in maniera significativa le dimensioni dei balconi o in casi estremi eliminarli del tutto, per evitare il problema dei “ponti termici”, cioè le zone di congiuntura con alta dispersione di calore. 

NUOVI CERTIFICATI

Non solo. Perché cambia anche la certificazione dell’efficienza energetica per gli edifici. Oggi viene lasciata ampia discrezionalità agli Stati membri, quando verrà attuata la nuova direttiva Ue invece entrerà in vigore un modello unico europeo decisamente più severo. «La Commissione europea - sottolinea il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa - vorrebbe condizionare la vendita e l’affitto degli immobili alla presenza di determinati standard energetici. La stessa Commissione Ue che ha chiesto all’Italia di aumentare le tasse sugli immobili, attraverso il catasto (idea recepita dal Governo nella riforma fiscale). Si tratta di una proposta inaccettabile sul piano del rispetto del diritto di proprietà, ma che avrebbe effetti pesantissimi di tipo economico, facendo crollare il valore della gran parte degli immobili, e sociale, visto che ridurrebbe l’offerta di case in affitto, determinando anche un aumento dei canoni. Noi continueremo a contrastarla, a Bruxelles, attraverso l’Unione internazionale della proprietà immobiliare, ma la politica italiana deve far sentire la propria voce e scongiurare questo scempio».


Ovvio che la direttiva farà molto discutere. E troverà l’ostilità degli Stati membri. Per questo, il testo attuale prevede delle esenzioni parziali, per esempio, per gli edifici adibiti a luoghi di culto e ad attività religiose e per gli immobili protetti per il loro particolare pregio storico o architettonico. Si specifica poi che i singoli Paesi potranno usare incentivi per aiutare la riqualificazione e stimolare gli investimenti necessari al rinnovamento energetico usando anche i fondi del Recovery Plan e degli altri programmi europei. 
Un contentino. Che difficilmente mitigherà la frustrazione di milioni di proprietari di casa. 

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