Stefania Morici, una carriera dedicata all'arte
Una vita straordinaria dedicata all’arte. Stefania Morici, art producer e fondatrice di “Arteventi”, ci spiega come riesce a creare e gestire in modo innovativo manifestazioni ed eventi culturali rendendoli unici.
Lei è una figura poliedrica e inusuale nel mondo dell'arte. In un evento o mostra lei si occupa dalla produzione e cura del concept, alla scelta degli artisti , dalle relazioni istituzionali o con privati alla ricerca della location, richiesta di patrocini, ecc. Insomma lei consegna un evento confezionato nella sua totalità "chiavi in mano". Come fa?
Credo che l'esperienza, la preparazione, la serietà, la passione per il mio lavoro e, non per ultimo, l'essere donna, siano alcuni degli ingredienti per riuscire a fare tutto. Curare una mostra o un evento significa prendersi cura di tante cose: scegliere i contenuti, occuparsi dell'esposizione delle opere e dell'exhibition design, stimolare una dialettica “vera” tra le opere esposte e il pubblico in modo da consentire un'esperienza personale e favorire quindi un percorso non solo estetico ma anche interiore. Ogni progetto artistico va seguito con estrema cura in ogni dettaglio, persino nella confezione del catalogo che illustra e documenta l'evento. Per me è fondamentale dedicarmi agli artisti e alla valorizzazione della loro arte, ma anche sollecitare un cambio di prospettiva da parte dello spettatore, creando “stimoli” non solo intelletuali, ma anche emotivi e sentimentali.
Lei durante la pandemia è riuscita nonostante il clima di chiusura delle istituzioni a realizzare ugualmente i suoi progetti. Come ha fatto?
Con tantissima audacia, perseveranza e determinazione. E probabilmente anche con un pizzico di “follia” o lucidità in più rispetto ad altri miei colleghi. Una specie di “prontezza interiore”. Non riuscivo a credere a quello che stava accadendo. Da una parte il virus che attaccava il mondo interno e dall'altra tutti noi, rinchiusi, immobilizzati e quasi “lobotomizzati”.
Secondo le stime oltre la metà degli abitanti del pianeta è stata costretta a restrizioni nei movimenti. Non si parlava altro che di covid e di morte. Non potevo accettarlo. Dovevo fare qualcosa. Ho sempre pensato che è proprio nei momenti più bui e difficili che l'arte e la cultura devono aiutare a risorgere. Per cui ho cercato di far ricordare ed evidenziare la bellezza della vita. Pablo Picasso diceva che “l'arte scuote dall'anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni”. Ho semplicemente tentato di scuotere le nostre coscienze, di far guardare in altre direzioni, “spolverando” le nostre anime e i nostri nostri occhi. E grazie all'aiuto di persone speciali, come Gianmario Longoni e di tanti altri partner, che hanno creduto nella forza dell'arte, dell'amore e della vita, sono riuscita a realizzare in pieno lockdown dei progetti davvero speciali, come il grande Murales dedicato a Sant'Ambrogio a Milano, in corso XXII Marzo, o alcune grandi installazioni artistiche realizzate a Palermo.
Il Governo e il Ministro della Cultura in passato hanno stanziato contributi economici per la realizzazione dei suoi eventi?
Quasi tutti i miei progetti sono condivisi e supportati dalle istituzioni. Ed essendo iniziative di rilievo sociale, morale, culturale, educativo e quindi di interesse pubblico, godono quasi sempre di patrocini importanti come quelli degli assessorati alla cultura dei Comuni e delle Regioni che li accolgono, o del Ministero della Cultura, del Vaticano, etc. Ma finora non ho mai ricevuto contributi economici da parte del Governo o del Ministero della Cultura. Penso sia importante supportare di più l'arte e la cultura, e quindi anche realtà come la mia, con contributi economici o agevolazioni fiscali. E' necessario un approccio al settore culturale più solidale e umanistico. Gli operatori culturali, oggi più che mai, hanno un ruolo fondamentale per le società di domani e un futuro migliore.
Quali sono i criteri con il quale individua un artista e ci costruisce intorno una mostra?
Con gli artisti che individuo cerco sempre di creare un mix di arte e di vita; di costruire visioni in grado di esplorare il visibile e l'invisibile, il materiale e l'immateriale, l'upper world e l'under world. I criteri sono eterogenei ma difficilmente adotto metodi “scientifici”, facendomi influenzare dalla tecnica, dal linguaggio artistico, dal curriculum dell'artista o dalla sua reputazione nel mondo dell'arte. Preferisco farmi guidare dai sentimenti, dal furor interno, dal messaggio che l'artista vuole comunicare allo spettatore. Per me l'arte deve avere una funzione sociale, oltre che estetica. Deve essere in grado di rigenerare urbanisticamente e umananente i luoghi che viviamo, soprattutto in questo particolare periodo storico.
Lei ha anche lavorato anche per e con Vittorio Sgarbi…
Vittorio Sgarbi per me è stato “illuminante”. Ho imparato tantissimo proprio grazie a lui. Una vera e propria “palestra” di vita. Per me un grandissimo esempio: un maestro e una guida costante. Mi ha aiutata a crescere e ad avere sempre occhi nuovi, curiosi, aperti, insegnandomi a decodificare i liguaggi dell'arte e come poter creare percorsi significativi di conoscenza in grado di attivare visioni capaci di andare oltre l’ordinario e di sorprendere.
Tra le sue imprese ricordiamo il suo Albero di Luce in piazza Castello, che qualche anno fa nel periodo natalizio deliziò i milanesi…
L'albero di luce è stata la più grande installazione urbana cinetica e luminosa, mai realizzata prima al mondo. Un inno alla luce e al cinetismo. Un'installazione monumentale che ho realizzato insieme al Comune di Milano per celebrare il Centenario del futurismo. Un'esperienza incredibile. Ancora oggi, a distanza di anni, è un progetto che dimostra quanto il credere nelle cose e la passione siano la sola strada verso i cambiamenti e l'innovazione. Come diceva Steve Jobs bisogna avere il coraggio di seguire il proprio cuore e le proprie intuizioni:“Stay hungry. Stay foolish!” ( Siate affamati, siate folli!)
Lei è anche un'imprenditrice. È riuscita a costo zero e solo con "cambi merce" a far realizzare, dalle aziende più rinomate e prestigiose a livello mondiale, le iconiche suite con affaccio sul Duomo del TownHouse Hotel. Ci spieghi come è riuscita in questa impresa...
Quando Alessandro Rosso mi ha contattata, raccontandomi la sua idea di realizzare il primo hotel sette stelle a Milano con affaccio diretto su piazza Duomo e la possibilità di riaprire il camminamento sui tetti della Galleria Vittorio Emanuele, ho provato una specie di “moto” interiore, un'emozione incredibile. Dormire affacciandosi sul Duomo di Milano o passeggiare sui tetti della Galleria Vittorio Emanuele - la cui cupola ispirò la Torre Eiffel e il Palazzo di Cristallo di Londra - poteva diventare realtà. L'idea, quindi, di poter fare per la città che più amo qualcosa di davvero unico e speciale, ha generato in me un vero e proprio “movimento centrifugo” che, dall'interno verso l'esterno, è riuscito a creare una reazione a catena tra architetti, designer, artisti, artigiani e importantissime aziende luxury di Arredamento e Design, che sono riusciuta a coinvolgere in questo ambiziosissimo progetto. Senza dubbio mixare il passato, il presente e il futuro è stata l'idea vincente che ci ha permesso di superare la sfida. La traccia del passato (la storia di Milano e della Galleria Vittorio Emanuele) diventava “azione” rivolta al futuro. In generale ho sempre ritenuto che svelare e potenziare l'identità di un luogo, di una città, di una nazione serva ad evidenziare e valorizzare le diversità di tutte le culture, sensibilizzandoci ai valori comuni e alla bellezza. Naturalemente anche se sono stata io la project manager e il motore di tutto, è stato un lavoro “corale” realizzato insieme a tante persone tra cui Nelly Borsato, Danilo Reale, Vittorio Macrì, Carlo Barazzoni, Giovanni Fiorito, Giancarlo, Clarissa e Gianluca Gobbetto e tanti altri.
L'estate scorsa, a Palermo, ha realizzato con Angelo Cruciani, che è un creativo che spazia tra arte e moda (il suo brand Yazael veste tra gli altri i Maneskin, Ghali, Elodie) un’installazione di 5000 lumini: "Rosalia, e luce sia!". Giusto?
Rosalia, e luce sia! è ad oggi l'installazione più emozionante che io abbia mai realizzato. In questo caso direi adirittura che l'aspetto artistico è in secondo piano rispetto a quello “umano”. Angelo Cruciani è non solo un artista che amo moltissimo, ma anche un amico di cui mi fido. Con lui esiste una sintonia speciale. Abbiamo le stesse visioni. Per cui lavorare insieme a lui per me è stimolante, oltre che divertente ed “energizzante”. Quando ho parlato ad Angelo della mia idea di realizzare una gigantesca rosa dedicata a Santa Rosalia, lui l'ha subito trasformata in un'esperienza immersiva, “totalizzante”, sia fisica che spirituale. E' stato come riaccendere i cuori e le speranze di tantissimi palermitani e turisti. Un unico, spontaneo, spettacolare atto di fede collettivo. Nessuno se lo aspettava: migliaia di persone si sono inginocchiate sul sagrato della Cattedrale per accendere cinquemila candele che formavano la grandissima rosa luminosa simbolo della patrona della città. E' stato davvero toccante. Un atto d'amore collettivo di grande bellezza ed intensità. Sono convinta che “Rosalia, e luce sia!”è un'iniziativa che passerà alla storia delle celebrazioni del Festino di Santa Rosalia.
La mostra Extincion.Chapter One di Max Papeschi, che ha recentemente curato e prodotto, è stato un vero e proprio kolossal, con tanto di musica, sculture, Intelligenza artificiale. Ce ne parli.
Extinction. Chapter one è il primo capitolo di un racconto più ampio, in tre atti, volto a sviscerare, in luoghi e tempi diversi, gli aspetti più assurdi della civiltà contemporanea. In un momento storico in cui assistiamo quotidianamente a scene di guerra e a un massiccio impoverimento culturale, in pratica la mostra affronta, in chiave ironica, quasi parodistica, il tema dell'estinzione della razza umana, evidenziando i paradossi e la complessità del nostro vivere. Un incubo collettivo dal quale l'artista Papeschi ci esorta a uscire e ribellarci, mettendoci davanti a scenari futuri – conseguenza di quelli attuali – e lanciando un monito sul nostro avvenire.
Cosa accadrebbe, dopo una sconvolgente estinzione di massa, se una civiltà aliena ricostruisse il nostro attuale mondo attraverso dei frammenti superstiti? Max Papeschi e Flavia Vago se lo sono chiesti e si sono messi nei panni di extraterrestri che portano alla luce i resti di una civiltà sepolta, la nostra, e, con l’aiuto di un’intelligenza artificiale, li mettono insieme in modo arbitrario, come succede nei musei di tutto il mondo, persino al Louvre, pieni di statue che sono vere e proprie chimere. L'esercito di nani di terracotta rappresenta, in sostanza, il primo reperto archeologico della razza umana che non ha saputo far altro che combattere e distruggere se stessa e il mondo. Proprio per questo per introdurre la mostra ho scelto la frase di Karl Kraus “Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti”. Per sottolienare il “nanismo” mentale della collettività e l'appiattimento, l'imbarbarimento, della cultura. Extinction è in assoluto uno dei progetti più affascinanti e complessi della mia vita, sicuramente il più articolato di tutti, perchè pensato come un vero e proprio Kolossal. L'imponenza produttiva, il carattere spettacolare, il grande impatto mediatico sono riusciti a catturare l'attenzione del pubblico, che per la prima volta ha visto Max Papeschi anche in una nuova versione “tridimensionale”. Un progetto speciale, quindi, da tanti punti di vista. Riuscire a realizzarlo è stato una vera e propria impresa. Per cui sono particolarmente soddisfatta.
Quali consigli dà a chi vorrebbe intraprendere il tuo mestiere? Non solo di curatrice, bensì di art producer e consulente creativo quale lei è.
Riprendendo sempre una frase di Steve Jobs “l'unico modo per fare un ottimo lavoro è amare quello che fai”. Il mio è un lavoro complesso e difficile ma anche estremanente affascinante e ricco di stimoli. Tuttavia se non si ama profondamente il bello, se non si crede nel potere dell'arte di cambiare le cose , se non si è in grado di comprendere e accompagnare i cambiamenti socio-culturali che stanno trasformando il mondo e soprattutto se non si è disposti ad amplificare i propri orizzonti e ad osservare da punti di vista continuamente diversi, consiglio di intraprendere altri tipi di mestiere. Non basta avere una forte conoscenza in campo artistico o competenze tecniche e saper espletare l'iter burocratico per lo svolgimento di una mostra o di un evento. Occorre avere “l'arte nel sangue” e saper spostare continuamente lo sguardo.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Ho già iniziato a lavorare insieme a Max Papeschi e Flavia Vago al secondo capitolo di Extinction, nel frattempo porterò il primo capitolo in altre città italiane e straniere. Stiamo definendo proprio in questi giorni le prossime tappe. Inoltre sto lavorando ad alcuni progetti speciali che ancora però non voglio svelare. Diciamo che cerco di addormentarmi la sera sperando di riuscire a fare sempre qualcosa di straordinario e meraviglioso. Seneca diceva che “il valore, quando è sfidato, si moltiplica”. Le sfide rendono sicuramente la vita più interessante. Ma superarle è ciò che da significato alla nostre vite.