Ai Weiwei: "L'arte è politica, altrimenti non è arte"
Ai Weiwei è uno dei più noti artisti contemporanei. Cinese, perseguitato dal regime, è nato nel 1957 a Pechino da una famiglia di intellettuali a loro volta presi di mira durante la Rivoluzione Culturale di Mao Tse Tung. Suo padre Ai Qing (1910-1996) è uno dei maggiori poeti cinesi del secolo scorso, diverse volte candidato al premio Nobel; sua madre Gao Ying (1933) una letterata. Alla fine degli anni cinquanta, Ai Qing, criticato da Mao le sue idee politiche troppo “di destra”, viene spedito, con tutta la sua famiglia, in un campo di rieducazione militare a Shihezi, nella provincia dello Xinjiang nel nord-ovest della Cina. In seguito vengono spostati in un villaggio ancora più isolato e vivono per anni nel deserto del Gobi. Ai Qing venne poi condannato ai lavori forzati: per umiliarlo gli fu affidato l’incarico di pulire le latrine del paese. Nel 1976 il poeta viene riabilitato e può tornare a Pechino con la famiglia.
Ai Weiwei riesce ad andare a studiare a New York dove rimane fino al 1993, quando deve tornare in Cina per assistere il padre malato. Ben presto si rende conto della capacità repressiva che può esercitare il suo paese, soprattutto sugli artisti. Lo scontro con il regime si consuma quando denuncia le autorità per gli effetti disastrosi del terremoto del 2008 in Sichuan. Prima realizza un’opera con i nomi dei cinquemila bambini uccisi dal crollo di scuole mal costruite, poi cerca di testimoniare in favore dell’attivista che ha compilato l’elenco delle vittime e ha raccolto le prove contro i funzionari corrotti. Il giorno del processo è stato picchiato dalla polizia nella sua stanza d’albergo, costringendolo a un delicato intervento chirurgico al cranio in Germania. A settembre infine gli è stato ordinato di demolire il suo studio di Shanghai, improvvisamente diventato una "costruzione illegale". È stato recluso per 81 giorni, finché il 22 giugno non fu rilasciato su cauzione in vista del viaggio in Europa del presidente Wen Jiabao. Da allora vive in Occidente.
"Non c'è nessun posto che io in effetti chiami casa", rivela il Maestro Ai Wei durante l'intervista in occasione della mostra "Who Am I?" che apre oggi a Palazzo Fava a Bologna. "Mio padre è stato spedito nel nord ovest ai lavori forzati perché era un poeta contro il regime. Ho vissuto in quelle capanne che si chiamano dagaot che in realtà sono dei buchi sotterranei. Poi da ragazzo mi sono trasferito negli Stati Uniti per 12 anni. Adesso in Europa ho degli studi in diverse città, però non c'è nessun posto che chiamo casa. Io sono un migrante e lo rimarrò per sempre. Questo è il mio status, lo è stato dalla nascita, mia famiglia fu esiliata a causa di mio padre che era un poeta. I migranti sono persone comuni, coraggiose, che per tutta la vita dovranno essere profughi. Ci sono tante guerre regionali che creano sempre più migranti. Sta alla politica la responsabilità di rispondere a questo problema, ma per prima cosa non dovrebbe creare armi e guerre, altrimenti non si può fermare questa tragedia".
Maestro lei non ha nessun posto che sente come casa, ma almeno sa chi è, come si chiede dando il nome alla mostra curata da Arturo Galansino?
"È impossibile rispondere a questa domanda perché la risposta cambia sempre ogni volta che la fai. Io non saprò mai chi sono. Ogni giorno sono una persona nuova, diversa. Altrimenti non vivrei".
Lei è noto per le sue critiche ai sistemi di sorveglianza e controllo, eppure il dialogo con un'intelligenza artificiale implica una forma di affidamento alla tecnologia. Come gestisce questo paradosso, considerando la tua lunga storia di attivismo contro il controllo governativo e la censura? Non c’è il rischio che il potenziale dell'IA venga sfruttato per fini di sorveglianza e controllo sociale?
"Viviamo in una società in cui ogni aspetto della nostra vita è soggetto a controllo e manipolazione. Ogni cosa con cui entriamo in contatto è in qualche modo filtrata o influenzata da forze esterne. Questo controllo soffoca l'immaginazione, la creatività, e in definitiva la nostra umanità. La nostra intelligenza si sviluppa attraverso errori, fallimenti e scelte. L'AI è uno dei nostri errori più recenti: offre solo risposte banali, le diamo troppa importanza, Come si può adorare una macchina che ci rende più pigri e ci fa perdere posti di lavoro e opportunità.? Nell'arte, l'AI non ha nulla da offrire. L'arte nasce dalla nostra imperfezione, e non c'è tecnologia che possa sostituire questo processo creativo."
Una parte significativa della mostra è dedicata al tema delle migrazioni, come dimostra la sua carta da parati Odissey, che dialoga con gli affreschi dell’Eneide. Quale pensa sia oggi il ruolo dell'artista nell'affrontare questioni globali come le crisi migratorie, e come riesce a connettere le storie del passato con le tragedie del presente attraverso la sua arte?
"Tutta l'arte è politica, che lo si voglia o no. Anche decidere di non prendere posizione è in sé una scelta politica. L'artista oggi ha una responsabilità morale: non può restare indifferente a ciò che accade nel mondo. Ha il dovere di essere una voce di coscienza, di sollevare domande, di scuotere l'immaginazione collettiva. La crisi delle migrazioni è una tragedia globale che si ripete da secoli, come ho voluto esprimere nel mio dialogo tra l'Odissea e l'Eneide. Le storie antiche continuano a riflettere la condizione umana, e attraverso l'arte possiamo far emergere le connessioni tra passato e presente, perché la storia, purtroppo, si ripete."
Di recente, la Cina si è proposta come mediatrice in diverse crisi internazionali. Considerando il suo rapporto critico con il governo cinese, ritieni credibile il ruolo della Cina come promotrice di pace su scala globale? Lei è molto critico anche con la società occidentale: qual è la differenza maggiore tra noi e loro?
"La Cina oggi si propone come un intermediario, cercando di mantenere una posizione neutrale. Cercano di promuovere la pace, ed è una posizione giusta in teoria, ma la realtà è ben più complessa. Negli ultimi 30 anni la Cina ha fatto passi avanti enormi, ma non abbastanza. I problemi interni sono molteplici e profondi. Ogni società ha le sue difficoltà, sia in Cina che in Occidente, ma sono di natura diversa. La Cina continua a svilupparsi, ma il suo progresso rallenta a causa del conflitto con gli Stati Uniti. Le tensioni internazionali frenano il suo potenziale e creano nuove sfide, sia per il paese che per il mondo intero".
Spesso usa l’ironia e l’umorismo nelle sue opere, come nella serie di opere in LEGO o in alcuni dei tuoi ready-made. Mi viene in mente un vecchio slogan anarchico: Una risata vi seppellirà. Quanto conta per lei l'umorismo come strumento di resistenza o di riflessione personale? Come riesce a trovare leggerezza anche nelle situazioni più difficili?
"Anche in Cina c'è un detto che dice che con una risata si possono superare molte difficoltà. L'umorismo è una forma di resistenza, ci permette di guardare alle cose con distacco e di non lasciarci schiacciare dalla gravità delle situazioni. Bisogna mantenere una prospettiva positiva, avere fiducia nel futuro e, soprattutto, essere grati per quello che abbiamo, anche nei momenti più difficili".