Morry Kolman e le telecamere pubbliche di NY: selfie di protesta contro la video sorveglianza
Nell’epoca d’oro delle innovazioni tecnologiche, l’arte può essere un potente strumento di resistenza e riflessione critica. È questo il caso di TrafficCamPhotoBooth.com, un progetto artistico sviluppato da Morry Kolman sviluppato per dimostrare come l’arte possa sovvertire e rinegoziare i confini imposti dal potere tecnologico, che trasforma le telecamere del traffico di New York in cabine fotografiche per selfie. Questa iniziativa non è solo un’operazione ludica, ma una forma di protesta contro l’iper-sorveglianza, in cui l’arte viene usata per ridare potere ai cittadini in un contesto in cui sono costantemente osservati.
Kolman, consapevole dell’onnipresenza della sorveglianza urbana, ha creato la piattaforma on line per permettere ai newyorchesi di appropriarsi di uno strumento di controllo, convertendolo in un mezzo di espressione personale. Attraverso un’interfaccia semplice, gli utenti possono selezionare la telecamera più vicina tra le 900 sparse in città e scattarsi un selfie che mai potrebbero avere. In realtà si tratterebbe di un selfie di protesta perché l'obiettivo dell'artista ventottenne sviluppato per dimostrare come l’arte possa sovvertire e rinegoziare i confini imposti dal potere tecnologico
Il progetto sottolinea un paradosso: ciò che dovrebbe limitare la libertà viene riutilizzato per affermare la propria identità, dimostrando come l’arte possa sovvertire e rinegoziare i confini imposti dal potere tecnologico. In un mondo in cui la privacy è costantemente minacciata, Kolman offre una nuova forma di resistenza, trasformando la sorveglianza da strumento di controllo a mezzo di creatività e auto-rappresentazione.
Questa iniziativa si colloca all’interno di una più ampia corrente artistica che critica la cultura della sorveglianza, in linea con il lavoro di artisti come Hito Steyerl e Laura Poitras, che da anni esplorano le implicazioni del controllo tecnologico sulla vita privata. TrafficCamPhotoBooth non è solo una provocazione artistica, ma un atto di consapevolezza sociale, invitando i cittadini a riflettere sul ruolo che la sorveglianza gioca nelle loro vite quotidiane e a riappropriarsi degli strumenti che ne limitano la libertà.