Un premio alla Carriera per Grazia Varisco, l'artista che rifiuta le definizioni di genere
Grazia Varisco, classe 1937, ha svolto un ruolo significativo nel panorama artistico del XX secolo: è stata una pioniera nell’uso della tecnologia all’interno dell’arte contribuendo alla ridefinizione del rapporto tra l’opera e lo spettatore attraverso stimoli cinetici e interattivi. La sua carriera e il suo impegno hanno contribuito a sfidare le convenzioni di genere, ma lei ha sempre rifiutato di essere catalogata come artista donna. Femminista fino in fondo, Grazia Varisco sostiene il lavoro della donna e per questo rifiuta le definizioni di genere ponendosi sempre l’obiettivo di vivere liberamente e confrontarsi con il maschio e con l’artista, al maschile e femminile, senza riserve. A Grazia Varisco verrà consegnato lunedì prossimo 11 dicembre il premio alla Carriera "Bai Yu Art Foundation 2023" per l'attività svolta come artista, ma anche come docente.
Succederà nella sala delle Adunanze dell'Accademia di Brera, proprio dove Varisco ha studiato dal 1956 al 1960 come allieva di Achille Funi e che l'ha vista in cattedra di Teoria della percezione dal 1984 al 2007. "Dal Liceo all’ Accademia, come studente e poi docente, sono passata in tutte le aule di “questo luogo” che ancora, in sogni strani, mi trasmette sensazioni alterne di fascino e di pericolo calamitante", ha confessato l'artista, oggi 86enne, che riceverà il prestigioso premio durante la cerimonia di consegna delle borse di studio agli studenti meritevoli dell’Accademia di Brera messe a disposizione da Bai Yu Art Foundation - Taiwan Cina che ha come obiettivo quello di favorire l’incontro tra cultura Occidentale e cultura Orientale; rafforzare l’amicizia e la collaborazione tra Cina e Italia; favorire la reciproca conoscenza e l’integrazione, attraverso gli scambi culturali. La consegna dei premi avverrà alla presenza di Giovanni Iovane, direttore dell’Accademia di Brera, Maria Cristina Galli, vice-direttore dell’Accademia di Brera, e Zhao Xiang Wu, direttore di Big Eyes International Vision. Appuntamento alle ore 11,30 all'Accademia.
Un premio meritatissimo. Negli anni Sessanta, quando il mondo dell'arte era ancora dominato dagli uomini Grazia Varisco non si è lasciata intimidire. Affascinata dall’estetica industriale e dalla nascente tecnologia computerizzata si è fin da subito interessata al rapporto che l’opera instaura con lo spettatore fino a fondare il Gruppo T di Milano (T sta per "tempo), un collettivo di artisti che esplorava l’arte cinetica e programmata e, considerando il pubblico un “co-autore” esponevano i loro lavori con la dicitura “si prega di toccare”. Grazia Varisco è stata l'unica donna a partecipae alla mostra "Arte programmata" organizzata nel 1962 per conto di Olivetti da Bruno Munari e Giorgio Soavi, con un catalogo curato da Umberto Eco. Le Tavole magnetiche (1959–1962) che sanciscono il debutto di Varisco nel collettivo sono delle semplici superfici metalliche, su cui il pubblico può muovere calamite di colori, forme e dimensioni differenti. Varisco concepisce i lavori successivi affinché le loro variazioni formali sollecitino le percezioni di chi le osserva. Già presenti alla Biennale del 1964 e 1986, ad esempio, gli Schemi luminosi variabili (1961–1968) dimostrano il massimo grado di un movimento reale e illusorio. L’intervento congiunto di movimento e luce – alimentato dalla rotazione di un motore interno in Perspex trasparente – fa emergere tagli luminosi dalle superifici plastiche scure che, come un caleidoscopio, cambiano orientamento e si combinano all’infinito producendo illusioni ottiche, interferenze o sovrapposizioni.
Nel febbraio del 1980 si aprì a Palazzo Reale a Milano un'altra mostra fondamentale per la storia dell'arte contemporanea: "L'altra metà dell'avanguardia 1910-1940", curata da Lea Vergine, il cui eccezionale allestimento fu progettato da Achille Castiglioni, con l'aiuto proprio di Grazia Varisco, che presentava le opere di oltre cento artiste attive all'interno dei movimenti d'avanguardia d'inizio Novecento e che vennero ingiustamente cancellate dalla storiografia. Si trattò di un'esposizione tutt'oggi ritenuta fondamentale rispetto agli studi relativi a storia dell'arte e questioni di genere. Attraverso la ricostruzione di quel progetto (concepito a partire dal 1975), il modo in cui venne accolto dal pubblico e dai media dell'epoca e la sua ricollocazione all'interno del contesto storico-critico internazionale e dei movimenti femministi italiani degli anni Settanta, si tenta di analizzare quale sia l'eredità dell'enorme lavoro condotto da Lea Vergine (che percorse una via del tutto personale, in contrasto con le convinzioni del femminismo più radicale) e d'indagare se e in che misura questo lascito sia stato raccolto negli ultimi quarant'anni in Italia, sia nell'ambito degli studi specialistici, sia sul piano della formazione e della divulgazione.