"Finché non saremo libere", l'arte è un'arma in mano alle donne contro i regimi
Shirin Neshat è una artista e regista iraniana (Leone d'Argento al Festival del Cinema di Venezia nel 2009) che usa la sua arte come un’arma che imbraccia a mo’ di partigiana contro un governo che non la rappresenta e che ne opprime le libertà. Costretta all’esilio dal governo di Teheran perché ha osato denunciare attraverso le sue opere la condizione delle donne in Iran, la fallacia del sistema democratico e le responsabilità dell’Occidente, Shirin Neshat nelle sue opere eleva il corpo femminile a unico soggetto: in Iran il corpo delle donne simboleggia la vergogna, il peccato e la sensualità, per questo l'artista lo sviscera e lo indaga attraverso le sue fotografie. Nella serie Women of Allah, realizzata tra il '93 e il '97, la caratteristica più pregante e densa di significato è la presenza delle armi: le donne ritratte sono delle guerriere pronte a combattere in nome della propria identità e della propria libertà. Ciò riflette in toto l’impegno dell’artista a favore della democrazia, del femminismo e contro qualsiasi censura o pregiudizio.
Shirin con la sua arte vuole far riflettere su come il potere delle donne di tutto il mondo, senza distinzioni di razza ed età, possa essere il principale fautore degli importanti cambiamenti che trasformeranno il mondo del domani.
Anche Soudeh Davoud, classe 1988, è un'artista iraniana. E anche i suoi soggetti principali sono basati sulle donne, le donne intorno a lei. Donne militanti che nei Paesi patriarcali combattono coraggiosamente per la loro causa che è il diritto alla vita.
Sia Shirin Neshat che Soudeh Davoud saranno presenti con le loro opere mostra che inaugura l'11 novembre al Museo di Santa Giulia a Brescia intitolata "Finché non saremo libere". Il progetto espositivo, a cura di Ilaria Bernardi, si propone di approfondire una tematica tanto attuale quanto drammatica quale la condizione femminile nel mondo, con un particolare focus sull’Iran a partire dal titolo che fa riferimento, rielaborandolo e volgendolo al femminile, del libro Finché non saremo liberi. IRAN la mia lotta per i diritti umani (Bompiani, Milano 2016) di Shirin Ebadi, un’avvocatessa e pacifista iraniana premiata nel 2003 con il premio Nobel per la pace. L'esposizione costituisce il quarto atto della ricerca che Fondazione Brescia Musei ha dedicato al tema “arte e diritti”, a partire da Zehra Doğan. Avremo anche giorni migliori. Opere dalle carceri turche. (2019) per proseguire con Badiucao. La Cina (non) è vicina (2021) e Victoria Lomasko. The Last Soviet Artist (2022). L’esposizione, che si colloca nel contesto del Festival della Pace e si inserisce all’interno della seconda edizione di Progetto Genesi. Arte e Diritti Umani, approfondisce il tema drammaticamente attuale della condizione femminile nel mondo, con un particolare focus sull’Iran.
La prima sezione della mostra include un nucleo di opere di artiste donne della Collezione Genesi, costituita da opere d’arte contemporanea di artisti di tutto il mondo che riflettono sulle urgenti, complesse e spesso drammatiche questioni culturali, ambientali, sociali e politiche coeve. La seconda e terza sono da intendersi come omaggi monografici a due storiche artiste iraniane, apprezzate nei più importanti musei del mondo e per la prima volta esposte con una personale in Italia: Farideh Lashai (1944 – 2013) e Sonia Balassanian (b. 1942). Non solo quindi giovani artiste iraniane, ma anche nomi affermati che, in un’ottica di empowerment, possano dimostrare come, nonostante la drammatica storia del paese da cui provengono, siano riuscite ampiamente ad affermarsi all’interno del sistema artistico internazionale, veicolando un messaggio positivo e di speranza per le altre artiste iraniane e del mondo.
"Finché non saremo libere" si potrà visitare dall'11 novembre al 28 gennaio 2024 e sarà gratuita in occasione del Festival della Pace di Brescia fino al 25 novembre. Merita assolutamente di essere vista.