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L'arte queer di Jeffrey Gibson rappresenterà gli Usa alla Biennale di Venezia

Nicoletta Orlandi Posti
Nicoletta Orlandi Posti

Nicoletta Orlandi Posti è nata e cresciuta alla Garbatella, popolare quartiere di Roma, ma vive a Milano. Giornalista professionista e storica dell'arte, cura su LiberoTv la rubrica "ART'è". Nel 2011 ha scritto "Il sacco di Roma. Tutta la verità sulla giunta Alemanno" (editori Riuniti); nel 2013 con i tipi dello stesso editore è uscito "Il sangue politico": la prefazione è di Erri De Luca. Il suo romanzo "A come amore", pubblicato a puntate su Facebook, ha dato il via nel 2008 all'era dell'e-feuilleton. A febbraio del 2015 è uscito il suo primo ebook "Expo2051". Nel 2016 Castelvecchi ha pubblicato il suo libro "Le bombe di Roma"; nel 2019 è uscita la seconda edizione. Sta lavorando a un romanzo erotico. Il titolo del blog è un omaggio al saggio del prof Vincenzo Trione.

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Jeffrey Gibson, 51 anni, è un artista di origine Cherokee che con il suo lavoro ci sfida a guardare il mondo in modo diverso diventando così voce potente delle comunità di nativi americani e della comunità LGBTQ+. Gibson si autoproclama artista queer ed è molto apprezzato anche per la sua capacità di innescare dibattiti importanti su questioni di diritti civili e giustizia sociale. Ma Jeffrey Gibson è noto soprattutto per i suoi dipinti dai colori vivaci e le sue sculture che spesso incorporano testi, alcuni dei quali tratti dalla musica pop. A volte le opere sfiorano l'astrazione, nel tentativo di coniugare stili presi in prestito dal modernismo occidentale e dall'artigianato dei nativi americani. La lavorazione delle perline ha occupato un posto di rilievo nel suo lavoro, così come la pittura a spruzzo . Tra le sue opere più famose ci sono pezzi scultorei formati da sacchi da boxe che Gibson decora con motivi che ricordano gli abiti indossati dalle danzatrici powwow

 

 

 

 

Della sua arte bella e potente non ne abbiamo mai abbastanza e per questo rende davvero felici sapere che sarà lui a rappresentare gli Stati Uniti alla prossima Biennale Arte di Venezia che inaugurerà nell'aprile del 2024. Si tratta di una mostra storica visto che nella storia del padiglione americano mai prima di Gibson era stato completamente dedicato a un artista indigeno. Non bastasse, con Gibson lavoreranno al padiglione Usa la curatrice indipendente Abigail Winograd e Kathleen Ash-Milby, curatrice del Portland Art Museum per l'arte dei nativi americani e membro della nazione Navajo, che la rende la prima curatrice indigena a lavorare a un padiglione americano. "L'approccio inclusivo e collaborativo di Gibson", ha spiegato la curatrice del museo di Portland che insieme al direttore del Site Santa Fe, Louis Grachos, ha commissionato il padiglione,  "è un potente commento sull'influenza e la persistenza delle culture dei nativi americani all'interno degli Stati Uniti e a livello globale: ciò lo rende il rappresentante ideale per gli Stati Uniti in questo momento". 

Gibson è membro della Mississippi Band of Choctaw Indians, una delle nazioni native americane, le cosiddette First Nations. Dopo secoli di violenze e soprusi, la tribù fu riconosciuta a livello federale nel 1945 ma la segregazione razziale e la privazione dei diritti civili sono durati fino alla fine del XX secolo. Oggi però la Mississippi Band of Choctaw Indians è diventata uno dei maggiori datori di lavoro dello Stato, all’inizio del XXI secolo gestivano 19 aziende e impiegavano 7.800 persone. Nel 2008, dopo quasi 200 anni, la tribù ha ripreso la gestione del sito sacro di Nanih Waiya, nel Mississippi.

Il padiglione di Gibson si colloca in un momento di grande importanza per la sua carriera. Dopo aver partecipato alle edizioni della Biennale d'Arte di Toronto, della Whitney Biennial e di Desert X tenutesi nell'ultimo decennio, il suo lavoro è ora esposto al CCS Bard's Hessel Museum of Art di Upstate New York, dove figura in una mostra intitolata "Indian Theater", sulle pratiche performative e l'estetica indigena. Il mese prossimo Gibson pubblicherà anche un libro da lui curato, intitolato "An Indigenous Present", che viene presentato come un'indagine sull'arte indigena contemporanea. 

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