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L'identità femminile nell'Iran di oggi: Farnaz Damnabi porta le sue foto a Milano

Nicoletta Orlandi Posti
Nicoletta Orlandi Posti

Nicoletta Orlandi Posti è nata e cresciuta alla Garbatella, popolare quartiere di Roma, ma vive a Milano. Giornalista professionista e storica dell'arte, cura su LiberoTv la rubrica "ART'è". Nel 2011 ha scritto "Il sacco di Roma. Tutta la verità sulla giunta Alemanno" (editori Riuniti); nel 2013 con i tipi dello stesso editore è uscito "Il sangue politico": la prefazione è di Erri De Luca. Il suo romanzo "A come amore", pubblicato a puntate su Facebook, ha dato il via nel 2008 all'era dell'e-feuilleton. A febbraio del 2015 è uscito il suo primo ebook "Expo2051". Nel 2016 Castelvecchi ha pubblicato il suo libro "Le bombe di Roma"; nel 2019 è uscita la seconda edizione. Sta lavorando a un romanzo erotico. Il titolo del blog è un omaggio al saggio del prof Vincenzo Trione.

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Farnaz Damnabi è una giovane artista nata a Teheran che usa la fotografia per raccontare le donne e per rendere omaggio all'identità femminile iraniana, mostrando la routine di donne, madri e lavoratrici ignorate da una società prettamente patriarcale, che tarda a riconoscerne l'uguaglianza, il valore, la libertà. Farnaz è nata nel 1994 e ha trovato il modo di trasformare in immagini le voci degli inascoltati dell'Iran: sono le storie delle donne, emarginate da tutti gli aspetti della società in cui vivono; le storie dei bambini, privati del diritto inalienabile di un'infanzia spensierata; sono le storie, in fondo, di tutti gli invisibili che sono da sempre relegati ai più lontani confini, geografici e sociali. Le fotografie di Farnaz sono esposte a Milano, negli spazi di 29 Arts in Progress gallery (via di San Vittore 13), nella mostra UNVEILED (senza velo, svelato) - la prima in assoluto in Italia - che riunisce una selezione di opere che offrono al pubblico il racconto di una giovane donna fotografa dell'Iran contemporaneo, sospeso tra passato e futuro. Nella serie Lost Paradise ad esempio le figure femminili, ritratte di spalle di fronte a un tradizionale tappeto persiano, sembrano mimetizzarsi - e quasi fondersi - con lo sfondo, metafora di una invisibilità tanto ottica quanto sociale. 

 

Nel personale e toccante racconto che fa della sua terra, Damnabi documenta anche l’esperimento della nuova città sorta a pochi chilometri da Teheran. Denominata, con triste ironia, Pardis (Paradiso), era stata pensata con l’intenzione di invertire la migrazione delle città più densamente popolate; la costruzione massiva di nuove palazzine ha portato tuttavia alla devastazione dell’ecosistema montano e alla distruzione del suo habitat naturale, accrescendo ulteriormente le difficoltà dei collegamenti con la capitale. Le immagini esposte, parte dell’omonima serie Pardis, sembrano sospese tra realtà e sogno e mostrano il desolante panorama di un ‘paesaggio lunare’ – come definito dall’artista stessa – di un Paradiso negato e che è di fatto un quartiere dormitorio dove sopravvivono, ghettizzati e privati dei più basilari servizi, moltissimi lavoratori e gran parte delle famiglie più povere.

 


Tra i suoi reportage più celebri, poetici nella loro drammaticità, ci sono quelli dedicati ai bambini il cui duplice fine è non solo quello di mostrare le difficoltà di un’infanzia trascorsa in questo paese, quanto la capacità – tipica della giovinezza – di trovare la magia anche nei contesti più avversi perché, come ci ricorda l’emblematico titolo di uno dei suoi progetti, Playing is my right (Giocare è un mio diritto). Donne, bambini e giovani adolescenti affollano anche gli scatti della serie Metamorphosis, vera e propria raccolta di momenti sospesi, di scene di vita quotidiana, di rituali, abiti e tradizioni emblematiche dell’Iran mentre con il recente progetto Be like a Butterfly, l’artista documenta il tentativo delle nuove generazioni di donne di migliorare la propria condizione, registrandone cambiamenti tanto lenti e tardivi da sembrare impercettibili, ricollegandosi a quella stessa metamorfosi che compiono le crisalidi diventando farfalle.

 

I suoi ritratti non vogliono essere polemici ma rappresentativi, mostrandoci con i suoi occhi un mondo di cui siamo certamente a conoscenza ma che ci arriva, adesso, con una maggiore e feroce insensità. Tra questi racconti di isolamento, di perdita e di esclusione, la giovane voce di Farnaz Damnabi si alza con raffinata eleganza come un grido insieme di indignazione e di fiducia. Le sue foto, delicate e potentissime insieme, ci colpiscono e soprattutto ci obbligano a vedere, a riflettere e a sperare insieme a lei.  La mostra merita assolutamente di essere visitata.

 

 

 

 

 

 

Tutte le fotografie sono © Copyright Farnaz Damnabi / Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

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