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Fino a quando dovrò mantenere i miei figli? 

Marzia Coppola
Marzia Coppola

Avvocato matrimonialista, educata alla resilienza e alla libertà. Laureata in Italia e in Francia, ho continuato gli studi per diventare anche avvocato della Sacra Rota. Mi occupo di diritto di famiglia a 360 gradi (e più!). Convinta che anche dalla relazione peggiore si possa imparare qualcosa.

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Questa è una domanda che attanaglia molti genitori, combattuti tra il senso di colpa e il desiderio di vedere i propri figli affrancati o, altre volte, stufi di risolvere i problemi economici ai loro “bambini”. 

Mi riferisco sia ai genitori sposati sia a quelli separati/divorziati. Sicuramente, quando si ha a che fare con una famiglia separata questo aspetto è amplificato perché il genitore che deve corrispondere il mantenimento spesso vi provvede corrispondendo un assegno all’altro genitore (e, solo in alcuni casi, direttamente al figlio) e si domanda quando potrà tagliare davvero questo cordone ombelicale. 

La nostra legge sancisce il diritto dei figli (dalla loro nascita) di essere mantenuti dai genitori ossia di ricevere quanto occorre per le normali esigenze di vita, di crescita e di sviluppo della personalità. Tutto, sempre, commisurato alle possibilità e al patrimonio dei genitori stessi. Mamma e papà sono esonerati solo se dimostrano la mancanza di mezzi e l’oggettiva impossibilità di procurarseli. 

Ma se è chiarissimo da quando e chi debba provvedere al mantenimento dei figli, non è altrettanto chiaro fino a quando questo dovere perduri. Molti genitori pensano che il limite sia la maggiore età e rimangono delusi quando, domandandomelo, comprendono che la legge non pone espressamente il limite dei 18 anni (e, invero, neanche un altro limite di età). 

Semplicemente prevede che il diritto sussista per tutti “i figli maggiorenni non indipendenti economicamente”. Per questo è intervenuta, sempre in senso unanime, la giurisprudenza e ha chiarito che la non indipendenza economica non può essere giustificata e legittimata vita natural durante. 

Anche recentemente, con la sentenza n. 2259/2024, la Corte di Cassazione ha escluso il diritto al mantenimento della figlia laureata e ormai adulta. In particolare, si tratta di una ragazza di 30 anni che, laureata in giurisprudenza, non si è data da fare per cercare un lavoro che la rendesse autonoma economicamente. 

Dunque, se da un lato il genitore è tenuto a dare ai figli la possibilità di studiare (il c.d. diritto all’istruzione, costituzionalmente garantito) e, quindi, farsi carico dei relativi costi, dall’altro, il figlio che ha potuto, grazie ai genitori, studiare e laurearsi avrà il dovere di mettere a frutto i propri studi. Proprio per rendersi autonomo ed economicamente autosufficiente. 

Se il ragazzo/la ragazza decide di non cercare un lavoro (almeno in prima istanza, quanto più possibile incline ai propri studi) di questo non potranno pagarne le conseguenze i genitori continuando a provvedere al mantenimento. In altre parole, se i figli, a un certo punto, non prendono in mano la loro vita sarà una scelta che ricadrà su loro stessi. 

È chiaro, comunque sia, che l’età di 30 anni non è il “giro di boa” per tutti. Per comprendere quando il mantenimento per i figli è dovuto o meno, infatti, bisogna valutare caso per caso. Potrà succedere, quindi, che le pretese economiche dei figli vengano meno ben prima dei trent’anni. Per esempio, quando un ragazzo ha deciso di non studiare e, al contempo, di non cercare una qualsiasi occupazione. Oppure quando un figlio ha studiato, sempre per esempio, all’istituto alberghiero terminando gli studi verso i 20 anni e, poi, non ha cercato alcun lavoro nel quale spendere la propria specializzazione. 

Concretamente se i genitori non sono separati e, quindi, il figlio vive con loro ed è coccolato e mantenuto (nel senso che la mamma e il papà pagano il canone di locazione, la spesa alimentare, le utenze, gli danno lo spillatico mensile e così via), basterà che i genitori smettano di fare tutto questo. Certo, potrebbe essere un momento difficile per la famiglia e un passaggio emotivamente doloroso. Ma, nei fatti, sarà sufficiente porre fine alle varie elargizioni. 

Quando, invece, il mantenimento è corrisposto da un genitore separato (e, quindi, nella stragrande maggioranza dei casi, versato all’altro genitore), in caso di figlio inerme e poco volenteroso, sarà necessario domandare al giudice di pronunciare espressamente la revoca del dovere di corresponsione del mantenimento mensile. Questo perché, altrimenti, rimarrà valido quanto scritto nel provvedimento che stabilisce il mantenimento e il genitore che riceve l’assegno dall’altro avrà il c.d. titolo esecutivo per recuperare le somme non versate. 

In linea di massima, in conclusone, possiamo certamente dire che la Corte di Cassazione invita i giovani, nel paese dei “mammoni”, a darsi da fare per acquistare la propria autonomia e non ammette ingiustificate situazioni di procrastinazione. 

di avv. Marzia Coppola
[email protected]
Studio legale Bernardini de Pace
 

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