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Quanto e quando è ridotto il mantenimento causa-Covid

Marzia Coppola
Marzia Coppola

Avvocato matrimonialista, educata alla resilienza e alla libertà. Laureata in Italia e in Francia, ho continuato gli studi per diventare anche avvocato della Sacra Rota. Mi occupo di diritto di famiglia a 360 gradi (e più!). Convinta che anche dalla relazione peggiore si possa imparare qualcosa.

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È ormai acclamato il fatto che l’emergenza sanitaria abbia portato con sé l’emergenza economica. La pandemia mondiale, infatti, ha colpito moltissimi lavoratori dipendenti, liberi professionisti, commercianti, ristoratori e così via. 

La contrazione dei redditi, in molti casi, incide sulla capacità e sulla possibilità di pagare l’assegno di mantenimento per l’ex moglie/marito o per i figli. Troppo spesso, infatti, chi è tenuto al mantenimento, non è più oggettivamente in grado di sostenere questo onere mensile. In questi casi, è ovvio che nessuno possa farsi “giustizia da sé”, modificare il quantum del mantenimento, smettere arbitrariamente di versarlo oppure corrisponderlo in clamoroso ritardo. Circostanza che, invece, si è verificata in moltissime famiglie causando un ulteriore motivo di dissidio e malumore in un momento già estremamente difficile. Dunque, chi avrebbe dovuto ricevere l’assegno di mantenimento (per sé o per i figli) e, invece, non si è visto corrispondere alcunché, avrà diritto di rivolgersi al giudice affinché questo ordine alla parte obbligata di provvedere al pagamento dovuto (oltre, a questo punto, gli interessi e le spese legali). Anche quando la ragione di tale inadempimento sia la difficoltà economica legata al momento di crisi. 

Infatti, se la condizione per ottenere la riduzione dell’assegno di mantenimento è il cambiamento – rilevante e concreto – delle condizioni economiche di chi è obbligato al pagamento, è comunque sia necessario che questa riduzione sia espressamente disposta dal giudice. L’interessato, infatti, deve rivolgersi al tribunale e dare atto delle nuove condizioni economiche nelle quali versa, mettendole a confronto con quelle che sussistevano nel momento nel quale era stato preso il provvedimento economico. 

Ecco che, passato un anno dall’inizio della pandemia mondiale, si possono fare i conti di chi ha guadagnato quanto e se, effettivamente, ci sono state delle perdite rilevanti. Chiaramente, spetta al buon senso delle parti non trasformare l’odierna emergenza in una scusante volta a sottrarsi agli obblighi di assistenza materiale.

Ricevuta l’istanza, il giudice, caso per caso, dovrà verificare se è possibile/ necessario modificare le disposizioni economiche. È ovvio che a ogni perdita economica non corrisponde, automaticamente, la modifica dei provvedimenti in essere. Al contrario, anche in questo periodo così unico e drammatico, le richieste sono state rigettate. Per esempio, recentemente, il tribunale di Torino ha respinto la domanda avanzata da un padre, motivando il diniego perché la riduzione delle ore lavorative dell’uomo (da full time a part time) non era giustificata da un oggettivo calo della produttività dell’impresa legata alla pandemia. Come a dire che, crisi sanitaria o meno, vi sarebbe comunque stata una riduzione delle ore di lavoro di quell’uomo. Magari come scelta aziendale, magari perché quelli erano gli accordi (anche solo informali) già presi in passato tra lavoratore e datore di lavoro.  

Come ogni questione connessa al diritto di famiglia, comunque sia, ogni storia è a sé e va trattata e valutata con l’aiuto di professionisti competenti e attenti alle esigenze dei propri assistiti. D’altra parte, tutti gli aspetti relativi alla vita di coppia meritano attenzione e impegno, così come, prima, li richiedono l’innamoramento e il progetto di vita insieme. 

di Avv. Marzia Coppola
[email protected]
Studio legale Bernardini de Pace
 

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