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Due cuori e una capanna? Abbandono della casa coniugale, ecco i rischi

Marzia Coppola
Marzia Coppola

Avvocato matrimonialista, educata alla resilienza e alla libertà. Laureata in Italia e in Francia, ho continuato gli studi per diventare anche avvocato della Sacra Rota. Mi occupo di diritto di famiglia a 360 gradi (e più!). Convinta che anche dalla relazione peggiore si possa imparare qualcosa.

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Come noto, il matrimonio comporta specifici e irrinunciabili diritti e doveri tra marito e moglie. Tra questi vi è il dovere di coabitazione, ossia l’impegno a convivere in modo costante e continuato presso la residenza coniugale. Ecco perché quando marito e moglie litigano spesso si costringono a stare insieme in casa, preoccupati di dover pagare in tribunale le conseguenze dell’allontanamento dall’abitazione. 
Poi è naturale che, soprattutto oggi, capita che il lavoro porti marito o moglie a trascorrere dei periodi lontano da casa. A vivere in due abitazioni distinte per molti giorni al mese o a essere in continuo spostamento da una località all’altra. Questa organizzazione familiare, però, per essere legittima, deve rappresentare una scelta condivisa (o comunque inevitabile) dalla coppia. 
Quando, invece, è uno dei coniugi a decidere unilateralmente di abbandonare il tetto coniugale, allora questa scelta potrà essere la causa dell’addebito della separazione. Certo, come ogni pronuncia di addebito, deve essere stato proprio il fatto che uno dei coniugi si è allontanato dalla casa coniugale ad aver causato la crisi irreparabile del matrimonio. 
Ancora diversa è l’ipotesi nella quale tra i coniugi vi siano discussioni, crisi, incomprensioni insormontabili, preoccupanti silenzi o allarmati grida. Oppure, addirittura, violenza psicologica e/o fisica. In questi casi l’allontanamento è pressoché inevitabile a tutela della incolumità propria e dei figli minori. Per esempio, se una moglie teme le violenze del marito iracondo, magari perché le ha già subìte in passato, deve disinteressarsi dell’obbligo di coabitazione e mettere davanti se stessa e la propria incolumità. Quindi dovrà senza remore lasciare la casa coniugale e, per maggior sicurezza, nel farlo, potrebbe inviare un messaggio al marito nel quale gli dice che, a seguito delle feroci discussioni, ha ritenuto opportuno proteggersi andando via dalla casa coniugale. Così prevedendo (o almeno provandoci) eventuali strumentalizzazioni dell’allontanamento. 
Comunque sia, in questi casi, l’allontanamento è giustificato. Tuttavia, è bene sapere che la legge fornisce altri strumenti, anche più efficaci, per risolvere problemi di questo tenore. Sicuramente il procedimento per separazione giudiziale urgente (con autorizzazione a vivere separati e fissazione di un termine per l’uscita da casa del coniuge violento) oppure la richiesta giudiziale di allontanamento del coniuge aggressivo dalla casa familiare. In questo modo, non si corre neanche il rischio di perdere il diritto all’assegnazione dell’abitazione coniugale. Infatti, quando mamma e papà si lasciano, la legge tutela sempre il diritto dei figli a conservare l’habitat domestico nel quale sono cresciuti fino a quel momento. Questo, naturalmente, per salvaguardare la loro stabilità in un momento che per loro può essere traumatico. In virtù di questo criterio guida, il Giudice accorderà al genitore collocatario dei figli la possibilità di continuare a vivere nell’ex casa coniugale. Se, però, viene meno la continuità ambientale decisiva per l'interesse del minore allora viene meno la ratio dell’assegnazione della casa. 
Riassumendo, quindi, il dovere di coabitazione deve essere rispettato al pari di tutti gli altri doveri che il matrimonio porta con sé. Tuttavia, se un coniuge è in pericolo (o pensa che la convivenza forzata possa diventare rischiosa) allora sarà giustificato l’allontanamento dalla casa coniugale. Sempre tenuto a mente, che la legge fornisce strumenti più efficaci rispetto alla mera “fuga”. 

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Studio legale Bernardini de Pace

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