Il rapporto sessuale nel matrimonio è obbligatorio? Ecco cosa dice la legge
Oggi, parlare di sesso, non è scandaloso e sconvolgente come in passato.
Neanche troppi anni fa, discutere di questo argomento faceva arrossire i ragazzi più timidi, esaltare quelli più estroversi e, quasi sempre, irrigidire e allontanare le ragazze. Almeno in apparenza, perché quello che succedeva “dietro le quinte” lo può raccontare solo chi era giovane in quel decennio.
Intorno agli anni ’60, Pier Paolo Pasolini sentiva la forte curiosità di conoscere le opinioni degli italiani sulla sessualità in relazione all’amore, alla morale e al buon costume. Così ha viaggiato per il nostro Paese e ha intervistato le persone che incontrava in piazza, al bar, al lavoro, al campo di calcio e così via. Da questa ricerca ne è uscita un’Italia raramente libera e progressista e quasi sempre legata al passato, ai luoghi comuni e alla religione. Erano i tempi in cui l’abito bianco rappresentava davvero l’attesa della celebrazione del matrimonio prima di consumare il rapporto sessuale. Prassi che oggi è diventata l’eccezione. Anzi, dato che il sesso è un argomento che piace a quasi tutti, non passa giorno nel quale non siamo bombardati da messaggi esplicitamente sessuali, fotografie provocanti e la libertà di accesso agli argomenti inerenti alla sessualità è pressoché incondizionata. Di conseguenza anche nel matrimonio il rapporto sessuale trova uno spazio e un peso diverso rispetto al passato.
È stato necessario l’intervento della giurisprudenza per chiarire e far luce su questo argomento perché, in realtà, la legge non parla da nessuna parte espressamente di “rapporto sessuale” (al più, nella legge sul divorzio, la mancata consumazione è una delle cause che legittimano la domanda di divorzio senza passare per la separazione).
Ecco, quindi, che i Giudici hanno specificato che il diritto/dovere ad avere rapporti intimi con il coniuge, rientra nel concetto di “dovere di assistenza morale” che, quest’ultimo sì, è espressamente richiamato dall’art. 143 del codice civile. Ossia, per intenderci, uno di quegli articoli che vengono letti durante la celebrazione del matrimonio (sia civile sia concordatario). Da questo ne consegue che il coniuge che ripetutamente e ingiustificatamente si sottrae al rapporto sessuale con l’altro, potrà incorrere nell’addebito della separazione (a patto che sia questa e solo questa la ragione che ha causato la frattura coniugale).
Come ogni cosa, poi, l’“eccesso stroppia” e i giudici sono dovuti intervenire anche per calmierare gli animi e mettere in chiaro che questo diritto/ dovere non può essere forzatamente (e magari anche violentemente) imposto dall’uno all’altro coniuge. In questa materia più che mai, infatti, il limite tra chiedere che il coniuge si presti al rapporto sessuale e il reato di maltrattamenti e di violenza sessuale è davvero labile. La Corte Suprema, quindi, vuole tutelare quelle situazioni nelle quali il coniuge che si nega al rapporto sessuale lo fa per il timore di subire conseguenze peggiori. Pensiamo, per esempio, a una moglie che si sottrae al rapporto sessuale perché spaventata dal marito violento e dedito all’abuso di alcool. È naturale che, in ipotesi come questa, non vi può essere alcuna “salvaguardia dell’amplesso”.
In conclusione, quindi, è vero che il costante e immotivato diniego ad avere rapporti sessuali dà diritto a domandare la separazione con addebito a carico del partner che si sottrae. Ma è vero anche che ogni situazione è da valutare a sé e che l’insistenza o la costrizione da parte di uno dei due potrebbe portare al consumarsi del reato di violenza sessuale.
di avv. Marzia Coppola
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Studio legale Bernardini de Pace