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Il tradimento: addebito e risarcimento del danno. Come non finire "cornuti e mazziati"

Marzia Coppola
Marzia Coppola

Avvocato matrimonialista, educata alla resilienza e alla libertà. Laureata in Italia e in Francia, ho continuato gli studi per diventare anche avvocato della Sacra Rota. Mi occupo di diritto di famiglia a 360 gradi (e più!). Convinta che anche dalla relazione peggiore si possa imparare qualcosa.

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C’è chi pensa che non esista il traditore, il tradito, il giusto e l’empio. Che esista solo l’amore finché dura.  Su un aspetto, però, concordiamo tutti: quando c’è un tradimento il rapporto tra due persone, e più che mai tra coniugi, è compromesso e anche quando si tenta di “rammentare” la relazione il segno rimane indelebile. 
Nel matrimonio, la fedeltà è un dovere e, quindi, il tradimento assume rilevanza in sede di separazione. Infatti, la legge prevede espressamente che al coniuge fedifrago possa essere addebitata la separazione quando la relazione extraconiugale rappresenta proprio ciò che ha causato la fine del matrimonio. Dunque, non vi sarà addebito quando la relazione clandestina sarà, al più, l’effetto di un rapporto coniugale già compromesso. Non è mai semplice provare che è stato proprio il tradimento a comportare – con diretto nesso di causa effetto – la fine del matrimonio e, comunque sia, l’infedeltà può essere fatta valere solo in sede di separazione (e non di divorzio) e solo quando vi è una causa giudiziale (e non consensuale). Ecco perché, spesso, l’ex coniuge tradito è frustato dalla sensazione di essere “cornuto e mazziato”: da un lato è stato ingannato e, dall’altro, non sarà così facile far valere la relazione clandestina del partner. Anche perché, dal momento che la pronuncia del giudice sull’addebito richiede un giudizio, prove, udienze, testimoni e così via, capita spesso che il coniuge tradito preferisca risparmiare la fatica (emotiva ed economica) e cercare di raccogliere i cocci per continuare la propria vita.  In ogni caso, quando vi è una pronuncia di addebito, il coniuge traditore perderà il diritto al mantenimento ed uscirà immediatamente dall’asse ereditario dell’altro (circostanza che, altrimenti, avverrebbe solo con il divorzio).

 
Un’altra strada che il coniuge tradito può percorrere è quella della richiesta del risarcimento del danno (domanda che richiede l’instaurazione di un diverso giudizio rispetto a quello di separazione). Infatti, chi è stato tradito potrà rivolgersi al giudice e chiedere che venga disposto a proprio favore un risarcimento quando l’infedeltà gli ha causato un danno effettivo (fisico o psichico) alla salute oppure quando sia stata lesa la propria dignità. Quest’ultimo caso si verifica quando il tradimento è stato così palese e spudorato da provocare una concreta lesione della dignità della persona offesa. Per fare un esempio, la moglie che tradisce il marito sfacciatamente frequentando insieme all’amante gli amici e gli ambienti sociali propri del marito. E’ necessario, ed è una valutazione che opererà il giudice sulla base delle prove fornite, che il tradimento posto in essere superi la soglia della tollerabilità e che si traduca, per le sue modalità e per la gravità dello sconvolgimento che provoca nell’altro coniuge, nella violazione del diritto alla salute e/o alla dignità personale e/o all’onore. 
In conclusione, quindi, il fatto che l’infedeltà sia un’azione infelice è un’affermazione ovvia. L’addebito al coniuge fedifrago della separazione e il diritto al risarcimento del danno, invece, non lo sono e per ottenere giustizia è necessario raccogliere prove consistenti, rivolgersi a professionisti specializzati che possano cogliere tutte le sfaccettature della relazione, i punti di debolezza e quelli di forza. Indubbio, poi, che per chi vuole perseguire questa strada sia necessaria tanta determinazione. 


Avv. Marzia Coppola
[email protected]
Studio legale Bernardini de Pace

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