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Assegno di mantenimento, ma chi paga le tasse?

Marzia Coppola
Marzia Coppola

Avvocato matrimonialista, educata alla resilienza e alla libertà. Laureata in Italia e in Francia, ho continuato gli studi per diventare anche avvocato della Sacra Rota. Mi occupo di diritto di famiglia a 360 gradi (e più!). Convinta che anche dalla relazione peggiore si possa imparare qualcosa.

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In caso di separazione o di divorzio, il coniuge economicamente debole ha diritto di ricevere un assegno di mantenimento periodico da parte del coniuge economicamente forte. 

Dal punto di vista fiscale, questo assegno ha una duplice caratteristica. Infatti, per il beneficiario (quindi per chi percepisce l’assegno), gli importi ricevuti a titolo di mantenimento costituiscono reddito assimilato a quello di lavoro dipendente e, quindi, su queste somme è necessario pagare le tasse. Per esempio, se la moglie, in separazione, è tenuta a corrispondere al marito un assegno mensile di € 3.000,00 questo importo è da intendersi lordo. Lui, infatti, dovrà dichiarare di aver ricevuto l’assegno per il numero di mensilità (normalmente 12) nelle quali gli sarà stato corrisposto e, sul totale annuale, verranno calcolare le imposte. 

Per il coniuge erogante, invece, l’assegno di mantenimento – sia in separazione sia in divorzio – costituisce un onere deducibile dal reddito. Tornando all’esempio di prima, quindi, la moglie che mantiene il marito versandogli € 3.000,00 al mese, potrà dedurre dal proprio reddito complessivo tutto quanto corrisposto a titolo di mantenimento.  

Naturalmente, questo vale quando l’onere economico a favore del coniuge e a carico dell’altro è previsto da un provvedimento del giudice oppure è frutto di un accordo tra le parti omologato in tribunale. Infatti, se la separazione è solo “di fatto” la corresponsione periodica dell’assegno non assume rilevanza ai fini fiscali. 

Altra e diversa ipotesi, poi, è quella per la quale – solo in sede di divorzio – chi è tenuto al mantenimento in favore dell’ex coniuge decide di provvedervi versando una somma di denaro in un’unica soluzione (la c.d. una tantum). Questa, a differenza dell’assegno periodico, non ha natura reddituale e viene assimilata a una transazione in ordine alle rispettive posizioni patrimoniali dei coniugi. Per questo motivo non è prevista alcuna tassazione: né in capo alla parte che la riceve né in capo alla parte che è tenuta a erogarla. A nulla rileva se il pagamento dell’una tantum avviene in un’unica soluzione oppure tramite rateizzazione. Quest’ultima ipotesi, infatti, rappresenta solamente una diversa modalità di pagamento dell’importo pattuito che non va a inficiare sulla natura dell’una tantum. Quindi, per esempio, se le parti concordano che il marito deve corrispondere alla moglie la somma di € 100.000,00 a titolo di una tantum a nulla rileva, ai fini fiscali, che lui provveda all’obbligo consegnando all’ex moglie un assegno della somma complessiva oppure tramite più bonifici in un arco di tempo stabilito.  Per quanto riguarda l’assegno di mantenimento per i figli, infine, la legge stabilisce che le somme erogate a loro favore (anche se corrisposte all’ex coniuge) non sono deducibili. 

Tutte queste precisazioni hanno un’importanza determinante, che spesso non viene debitamente tenuta in considerazione nemmeno dai professionisti del settore.  
Al contrario, è necessario conoscere queste norme perché, per esempio, se una moglie non ha reddito ed è obbligata a sostenere spese mensili fisse pari a € 1.500,00 è logico che l’assegno di mantenimento a suo favore non potrà ridursi a questo importo perché, appunto, è lordo e la moglie si troverebbe, quindi, ad avere più uscite che entrate.  

In conclusione, soprattutto in sede di accordo, avere cognizione di causa in merito a chi dovrà pagare le tasse e chi, invece, potrebbe avere un risparmio, può aiutare a individuare la soluzione migliore e determinare la soluzione che possa soddisfare tutti. Anche sotto il profilo fiscale. 

di Avv. Marzia Coppola
[email protected]
Studio legale Bernardini de Pace

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