Famiglia internazionale e divorzio, il diritto? Un'arma a doppio taglio
Negli ultimi anni, l’Italia ha registrato un vero e proprio boom di coppie internazionali. La facilità di spostarsi e viaggiare, la possibilità di essere in contatto anche se distanti e il desiderio di conoscere e ampliare i propri orizzonti sono gli elementi che hanno contribuito alla costituzione delle famiglie internazionali. Persone di diversa nazionalità che si sposano oppure coniugi italiani che si trasferiscono stabilmente all’estero. Con la globalizzazione, quindi, è sempre più facile conoscere coppie formate da sposi italiani che vanno a vivere a Bruxelles, un cittadino italiano e una cittadina francese che si sono sposati in Italia e si sono trasferiti in Spagna, due conviventi italiani che hanno deciso di fissare la loro residenza abituale a Montecarlo e così via.
Finché l’amore è ardente e la famiglia è unita è tutto bellissimo: si ha l’occasione di viaggiare, si possono conoscere culture diverse, accrescere le proprie vedute, imparare e insegnare ai figli due o tre lingue. Ma quando l’amore svanisce, oltre a tutti i consueti problemi, si aggiunge una duplice difficoltà: a quale giudice nazionale rivolgersi per la separazione/ il divorzio? E quale legge nazionale potrà applicare il giudice?
Per noi avvocati divorzisti, orientarsi nella confusione delle norme che disciplinano la crisi della famiglia internazionale, è all’ordine del giorno. Prima di tutto va individuato a chi spetti la competenza giurisdizionale (ogni Paese, infatti, ha delle regole diverse sul potere dei suoi giudici di emettere decisioni vincolanti). Dopodiché sarà necessario comprendere quale sia la legge applicabile.
Tale scelta è guidata dal diritto internazionale privato e dai Regolamenti dell’Unione Europea. Queste norme prevedono che il giudice al quale rivolgersi sia: 1) quello dell’ultima residenza abituale dei coniugi; oppure 2) quello del luogo dell’ultima residenza abituale del convenuto; oppure 3) quello del luogo della residenza abituale del coniuge che inizia il procedimento (se questi ha risieduto nello Stato dove viene intentato il procedimento per almeno un anno prima della domanda); oppure 4) la residenza abituale del coniuge che inizia il procedimento (se questi ha risieduto nello Stato dove viene intentato il procedimento per almeno sei mesi prima della domanda ed è anche cittadino dello Stato membro); oppure 5) nel territorio dello Stato del quale i due sono cittadini. Tutti questi criteri sono tra loro alternativi e, quindi, le parti - con l’aiuto di un professionista - possono decidere e verificare quale sia nel caso specifico la soluzione più vantaggiosa.
In ogni caso, però, quando nella famiglia vi sono dei minori e devono essere prese delle decisioni a loro riferibili, l’ago della bilancia per individuare il giudice al quale rivolgersi è costituito imprescindibilmente dal luogo dove i bambini abitano e svolgono la loro vita. Infatti, in queste ipotesi, il criterio unico per capire quale giudice sarà competente a decidere è quello della “residenza abituale” del minore al momento della proposizione della domanda. È bene precisare che la “residenza abituale” non è da individuarsi facendo riferimento alla residenza anagrafica (ossia il luogo indicato sul certificato di residenza). Sarà necessario verificare, piuttosto, quale sia il luogo nel quale i minori hanno il centro dei loro interessi: dove vanno a scuola, dove si trova il pediatra, dove praticano sport, frequentano gli amichetti, partecipano alle feste di compleanno dei compagni di classe e così via.
In conclusione, quindi, il diritto internazionale può essere un’arma a doppio taglio che ferisce se ci si fa trovare impreparati e persi tra gli Stati e tra le norme. Oppure può rivelarsi l’opportunità, se maneggiato da esperti del settore, per una tutela più forte e vigorosa.
di Avv. Marzia Coppola
Studio legale Bernardini de Pace