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Contratti di convivenza, anche in amore prevenire è meglio che curare

Marzia Coppola
Marzia Coppola

Avvocato matrimonialista, educata alla resilienza e alla libertà. Laureata in Italia e in Francia, ho continuato gli studi per diventare anche avvocato della Sacra Rota. Mi occupo di diritto di famiglia a 360 gradi (e più!). Convinta che anche dalla relazione peggiore si possa imparare qualcosa.

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Dal 2016, quindi dall’entrata in vigore della legge Cirinnà, la scelta di due persone di convivere senza matrimonio non è più così libera. Infatti, se in passato due persone potevano decidere di restare per sempre una coppia di fatto, di scegliersi ogni giorno senza obblighi e di potersi dire addio da un giorno all’altro senza vincoli, oggi non è più così facile e immediato. Anche la mera convivenza, infatti, implica diritti e doveri reciproci (per esempio il convivente può essere tenuto al versamento di una somma di denaro a favore dell’altro che si trova in stato di bisogno). 

In ogni caso, al di là di quelle norme che valgono per tutti i conviventi, ogni coppia può liberamente decidere di individuare le regole che varranno per la propria famiglia, per quella coppia. Questo è possibile sottoscrivendo un contratto che individui, perimetri e disciplini gli aspetti economici e patrimoniali della convivenza.  

Prima di tutto, affinché il contratto di convivenza sia valido, deve essere sottoscritto da due persone maggiorenni, non sposate o unite civilmente. Dovrà esserci tra loro un legame affettivo che non potrà essere il rapporto di parentela, affinità o adozione. Il contratto dovrà avere la forma scritta e dovrà essere autenticato da un avvocato (o da un notaio).

Quanto al contenuto, questo contratto permette alle parti di determinare chi e in che misura ciascuno debba contribuire alle spese del ménage familiare. Per esempio chi si occuperà della spesa alimentare, chi pagherà il canone di locazione o la rata del mutuo, chi sosterrà i costi delle utenze e così via. Ancora, i conviventi potranno scegliere chi dei due debba percepire il canone di un’eventuale abitazione in comproprietà e messa in locazione oppure determinare come accantonare somme di denaro per i fabbisogni della famiglia. Inoltre, la coppia potrà scegliere il regime patrimoniale da adottare (quindi potrà essere individuato uno dei tre regimi patrimoniali che il diritto civile, con riferimento al matrimonio, offre: la comunione dei beni, la comunione convenzionale o la separazione dei beni). Addirittura, l’accordo può essere usato per disciplinare le conseguenze patrimoniali della cessazione della convivenza. 

Quando, poi, i conviventi – o anche solo uno di essi – non riterranno più quelle regole come conformi alle esigenze o all’organizzazione della famiglia potranno recedere dal contratto che proprio loro avevano creato e sottoscritto. Il recesso potrà essere anche unilaterale, cioè uno dei due (da solo) potrà sciogliere il rapporto contrattuale. Per farlo, sarà sufficiente una dichiarazione resa proprio a quell’avvocato (oppure al notaio) che ha autenticato il contratto. In caso di recesso, una situazione che merita particolare attenzione è quella che si verifica quando solo uno dei due conviventi è titolare della casa familiare (perché è il proprietario o perché è l’intestatario del contratto di locazione). In questo caso, il titolare della casa familiare che vuole recedere dal contratto di convivenza dovrà concedere all’altro convivente un termine (non inferiore a novanta giorni) per abbandonare l’immobile.  

In conclusione, quindi, il contratto di convivenza ha il fine di dettare le regole che una famiglia (dal punto di visita economico e patrimoniale) dovrà rispettare. Senza che questo sia un impegno per sempre ma, al contempo, che possa essere uno strumento per dare ordine all’organizzazione e alla ripartizione delle spese e delle finanze e prevenire eventuali discussioni e rivendicazioni. Se, infatti, si organizza la propria famiglia in “tempi non sospetti” (quindi quando la coppia nasce, si va d’accordo e si guarda insieme al futuro) non ci si dovrà porre il problema in seguito quando, magari, si inizia a litigare, rivendicare chi ha speso che cosa, chi ha ospitato l’altro a casa sua e così via. 

Insomma, anche in amore, prevenire è sempre meglio che curare. 

di Avv. Marzia Coppola
[email protected]
Studio legale Bernardini de Pace

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