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La medaglia di cartone del figlio di Facchetti che parla a sproposito

Luciano Moggi
Luciano Moggi

Luciano Moggi nasce a Monticiano il 10 luglio 1937. Dirigente di Roma, Lazio, Torino, Napoli e Juventus, vince sei scudetti (più uno revocato), tre Coppe Italia, cinque Supercoppe italiane, una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa europea, una Coppa Intertoto e una Coppa Uefa. Dal 2006 collabora con Libero e dal 13 settembre 2015 è giornalista pubblicista.

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Chi cerca di tutelare la salute da queste calure estive si raccomanda di non fermarsi per molto tempo al sole, bere tanta acqua, ma niente alcolici che non fanno bene e talvolta fanno anche farneticare. Di solito i colpi di sole capitano a chi, incurante delle raccomandazioni, si inebria troppo dei raggi solari per mettere in evidenza il proprio fisico agli occhi della gente (soprattutto gli pseudo aspiranti attori). Queste persone parlano, parlano, senza tener conto che la calura mette confusione nella testa e fa dire spesso cose controproducenti per se stessi e gli altri.

Leggendo la rassegna stampa di giornata, mi è comparso un articolo del Corriere della Sera, a firma di Gaia Piccardi, che ha intervistato Gianfelice Facchetti, da me da sempre collocato nella categoria di chi parla troppo facendo danni a se stesso e ad altri, padre compreso, per la voglia di apparire. Facchetti ha colto l’occasione per dire di aver testimoniato al processo di Calciopoli, affermando che quello che ha detto sta agli atti e per lui è come aver conquistato una “medaglia”. Oltre a dire che mi ha querelato per diffamazione. 

Chi era presente a quell’udienza potrebbe pensare veramente ad un colpo di sole del soggetto. Premetto che non avevo voglia assolutamente di rivangare i fatti di Calciopoli dei quali si occuperà la Corte Europea. E avrei fatto anche a meno volentieri di parlare di suo padre, ma lui, evidentemente per la voglia che ha di far sapere che esiste, parla di Calciopoli e della querela fattami per diffamazione anche a costo di infangare ulteriormente il nome del defunto padre. Per cui, visto che istiga, rispondo alle sue elucubrazioni con la cronologia dei fatti da lui enunciati. Quanto alla “medaglia” di cui parla, si presentò come teste di accusa sotto giuramento, con un foglietto in cui c’erano degli appunti che il Tribunale si rifiutò addirittura di acquisire, ritenendolo più un appunto per quello che avrebbe voluto dire in tale occasione, sicuramente non probante agli effetti della accusa. Una medaglia insomma di “cartone”.

Veramente comico è poi sentirlo parlare della diffamazione, considerato il risultato finale che lo ha visto condannato dal Tribunale di Milano che, a danno del padre, ha spiegato come Giacinto Facchetti «facesse lobbying con gli arbitri». Il Procuratore Federale Palazzi, inoltre, ha scritto che «l’Inter era la società che rischiava più di tutte per il comportamento illegale del suo presidente Giacinto Facchetti». Nell’occasione è stata messa in evidenza la telefonata tra Facchetti e Bergamo il giorno precedente la semifinale di Coppa Italia Cagliari-Inter (nr. 45456 dell’11.5.2005, che a detta del Tribunale era estremamente indiziante quando si diceva che lo score dell’arbitro Bertini con l’Inter - 4 vittorie, 4 pareggi e 4 sconfitte- si doveva smuovere con un risultato che avrebbe dovuto cominciare per V(ittoria) e cioè diventare 5-4-4).

Il Tribunale sostiene che in merito a questa telefonata non ci si trova certamente nell’ambito di una simpatica chiacchierata tra amici, anche perché le parole di Facchetti fanno ritenere che vi sia stata una neppur troppo velata pressione nei confronti del designatore affinché questi raccomandasse la cosa all’arbitro Bertini: «Diglielo che è determinante». Facchetti replicò all’arbitro direttamente andando nello spogliatoio di Bertini prima della partita.

Per mancanza di spazio mi fermo qui, sperando che Gianfelice Facchetti abbia finalmente capito che, parlando troppo spesso come fa lui, quasi sempre perde un’occasione per stare zitto. Alla giornalista Gaia Piccardi dico di porre maggiore attenzione nell’intervistare quando non si conoscono gli argomenti: occorre farsi dare spiegazioni per evitare di scrivere nel modo sbagliato di un fatto avvenuto nel processo di Calciopoli o di una querela per diffamazione.

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