Calciopoli? Perché dopo 4 mondiali dobbiamo ancora parlarne
Basta stuzzicarli che cominciano a parlare. Si chiamano Moratti, Cobolli Gigli, Lepore, Auricchio. Erano gli uomini in evidenza al tempo del processo Calciopoli, commentato recentemente anche dall'ex dirigente addetto agli arbitri del Milan, Leonardo Meani, l'uomo che scientemente scomparve dalla lista dei dirigenti rossoneri, quando a qualcuno fece comodo che scomparisse, per evitare guai alla propria società per i suoi comportamenti.
Adesso Meani ricompare con la sua reale qualifica di un tempo: lo si può trovare nella lista dei «dirigenti» che devono pagare le spese processuali alla Figc, visto ormai che i pericoli di una sicura retrocessione della società sono solo un brutto ricordo . Era l'uomo che teneva rapporti più che «amicali» con una schiera di guardalinee che lui chiamava «fratelli» , capitanati da Puglisi, Babini, Copelli ma anche con arbitri, in testa Collina, Messina e Rodomonti, oltre al designatore Bergamo.
Sono questi i dati inconfutabili che nessuno può negare, celi raccontano le intercettazioni. D'altra parte la vicenda Palamara insegna a non meravigliarsi più di niente per cui si sono sentiti tutti liberi di esprimere la propria opinione sul fatto, anche loro due: ce lo raccontano le intercettazioni. E magari sbagliano, soprattutto quando cercano di nascondere la verità.
L'esempio lo fornisce Moratti, nell'intervista fatta recentemente con Cazzullo. Inavvertitamente sconfessa addirittura il pm Narducci quando disse «piaccia o non piaccia non ci sono telefonate dell'Inter». Le circostanze hanno invece chiarito che di telefonate ce ne erano state tante. E non ce ne sarebbe stato neppure bisogno vista la sentenza della corte di Appello di Milano 2166/18 che dice: «Facchetti faceva lobbing con gli arbitri». Resta difficile capire se Narducci non se ne sia accorto o abbia finto di non accorgersene.
Non da meno di Moratti è stato Cobolli Gigli. Recentemente ci ha informato che al tempo della sua presidenza sparì un faldone riguardante telefonate dell'Inter, ricomparso dopo 5 anni ed esaminato dal Procuratore Federale quando tutto era ormai prescritto. Difficile capire perché non lo abbia raccontato quando era nei posti di comando, forse allora era troppo impegnato ad eseguire l'ordine di Montezemolo di ritirare il ricorso al Tar della Juve che avrebbe probabilmente tenuto la società in serie A, visto poi poi anche la sentenza finale del processo sportivo: «campionato regolare, nessuna partita alterata».
Che dire poi del dottor Lepore, capo della Procura di Napoli al tempo di Calciopoli, adesso in pensione. In una recente intervista racconta di non aver mai parlato di "Cupola" che Moggi aveva addirittura ragione a sollecitare l'inchiesta a 360°. Nell'intervista circostanzia che «sfortunatamente si erano dovuti fermare alla sola Juventus perché l'Espresso aveva dato notizia dello scandalo, se avessero però continuato sarebbe venuta fuori anche l'Inter». Che cosa gli faceva supporre la certa colpevolezza dell'Inter?
Ne poteva informare l'opinione pubblica, non lo fece perché sapeva che l'"inquisitore" Auricchio aveva escluso l'Inter quando respinse il guardalinee Coppola dicendogli: «A noi l'Inter non interessa». E Coppola era andato da Auricchio perché l'Inter voleva che ammorbidisse la sua relazione sulla squalifica di Cordoba. Per i problemi si richiedono le soluzioni, non essendo questo un problema chiediamo a voi, amici lettori, chi dei personaggi citati ha detto più bugie. In coscienza, al di là del colore della maglia che ciascuno può indossare.