Il mix vincente del Milan campione? L'umiltà di Pioli e il carisma di Ibrahimovic
E adesso che è finito, tutti a trarre conclusioni sul perché abbia vinto il campionato una squadra piuttosto che un'altra, magari dimenticandosi delle previsioni che gli stessi avevano fatto in precedenza. Siccome il calcio racconta in primis le gesta degli atleti, che fanno presa sul tifoso, giusto caricare i resoconti di aneddoti che fanno sognare i supporters e fanno scordare loro persino i problemi derivanti dal virus e dalla guerra. È il bello del calcio e tutti ne vorrebbero far parte, perché si sentono in diritto di disquisire sul perché una squadra vince e l'altra perde. Anche senza sapere che l'unica e sola verità è racchiusa dentro uno spogliatoio, dove è vietato l'accesso ai non addetti, dove una squadra si raccoglie per ascoltare i dettami di chi sa, magari meglio di altri, incidere nella testa dei giocatori (il dirigente), e di chi, (l'allenatore), sa meglio coinvolgerli emotivamente nell'unica cosa che conta: vincere! Se poi a queste cose si aggiungono empatia e stima tra le parti, è il modo migliore per mandare in campo un giocatore o più giocatori predisponendoli ad una prestazione agonistica eccellente che possa in alcuni casi anche sopperire a deficienze tecniche.
Il Milan è campione d'Italia perché racchiude in sé tutti questi presupposti: nell'ambiente c'è stima ed empatia. Esiste il dirigente altamente carismatico e credibile: Maldini. Ha nello spogliatoio un giocatore altrettanto carismatico, Ibrahimovic, che ha vinto dovunque sia andato, a far da chioccia ai tanti giovani, insegnando loro l'arte di vincere. C'è un allenatore, Pioli, umile quanto bravo condottiero di una ciurma di giovani, ai quali sta facendo indossare una maglia pesante senza farne sentire il peso. Ha vinto insomma la squadra con più attributi duellando testa a testa con l'Inter, più qualitativa in certe zone del campo, ma meno continua in alcuni momenti topici. Secondo noi il carattere dei rossoneri è stato preponderante e più continuativo nella ricerca della vittoria, badando sempre più al sodo che allo spettacolo, al contrario dei cugini nerazzurri che, in alcuni momenti, incantavano per le giocate, in altri lasciavano molto a desiderare soprattutto quando è mancato loro il coraggio di reagire a partite iniziate nel modo migliore e finite nel modo peggiore.
Tra queste il derby del ritorno perso malamente 2-1, che poteva proiettare l'Inter verso lo scudetto anzichè condizionarne il rendimento per almeno sette gare. Al contrario dei rossoneri che, dopo la secca sconfitta nel derby di Coppa Italia, andavano a vincere, nella stessa settimana, a Roma contro la Lazio, pur subendo il gol del vantaggio laziale. Dal canto suo l'Inter si riprendeva invece dallo shock solo dopo essere andata a vincere a Torino contro la Juve, quando ritornava ad essere padrona del proprio destino e, qualora avesse vinto il recupero con il Bologna, si sarebbe riposizionata in vetta alla classifica. Giocava ma perdeva 2-1, complice il famoso errore del portiere Radu, rimettendo così il destino nelle mani del Milan, che non sbagliava più niente e tagliava per primo il traguardo tricolore, pur non avendo l'attacco migliore (69 gol fatti vs gli 84 dell'Inter). Complimenti al Milan e ai suoi dirigenti, ma anche all'Inter che ha saputo tenere in bilico fino al termine l'esito della competizione.
Il Napoli poteva fare sicuramente di più se non avesse perso con lo Spezia in casa, e con l'Empoli sia in casa che in trasferta. La mentalità vincente non è certamente il forte della squadra campana. Mentre la Juve, se avesse battuto all'Allianz l'Inter (come meritava), avrebbe probabilmente fatto qualcosa in più del quarto posto. Ormai il dna juventino si è dissolto forse a causa dei troppi stranieri che in essa trovano spazio.