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Il caso Open Arms: un processo politico a Matteo Salvini?

Iris Devigili Cattoni
Iris Devigili Cattoni

Ha una laurea in scienze storiche cui sono seguiti due master in Marketing, comunicazione e social media e in Marketing strategico. Da oltre dieci anni è consulente di marketing e comunicazione digitale ed è stata docente per i master post laurea alla Business School de Il Sole 24 Ore. Autrice del libro “Buyer Personas. Comprendi le scelte d'acquisto dei clienti con interviste e Modello Eureka!”, ha scritto diversi contributi per pubblicazioni di colleghi e amici. Si dedica alla scrittura e conduzione di trasmissioni televisive, modera dibattiti, presenta libri e coltiva la sua passione per l'uso della voce. Patita di sport, si divide tra running e padel.

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Il 2019 ha visto uno degli episodi più controversi del dibattito italiano sull'immigrazione: il caso della nave Open Arms. Nell'agosto di quell'anno, la ONG spagnola aveva salvato 147 migranti nel Mediterraneo e, dopo aver vagato per diversi giorni in attesa di un porto sicuro, si vide negare lo sbarco in Italia. Matteo Salvini, allora ministro dell'Interno, bloccò l'accesso ai porti, sostenendo che fosse necessario un intervento europeo e che l'Italia non dovesse farsi carico da sola dell'emergenza migratoria. Oggi, la Procura di Palermo ha richiesto sei anni di reclusione per Salvini, accusandolo di sequestro di persona e rifiuto d'atti d'ufficio.

Personalmente, resto basita per varie ragioni. Prima di tutto, ritengo che le intercettazioni emerse nel 2018 tra l'ex magistrato Luca Palamara e il procuratore Auriemma mettano in luce la natura politica di questo processo. Auriemma, nel corso di una conversazione, esprimeva le sue perplessità verso le accuse rivolte a Salvini, affermando: "Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell'Interno interviene perché questo non avvenga. E non capisco cosa c'entri la Procura di Agrigento". “Tutti la pensano come lui, tutti. E tutti pensano che ha fatto benissimo a bloccare i migranti, che avrebbero dovuto portare di nuovo da dove erano partiti”. La risposta di Palamara fu chiara: "Hai ragione. Ma adesso bisogna attaccarlo". Questa intercettazione è inquietante e rivela come ci fosse il chiaro intento di colpire Salvini.

In secondo luogo Salvini, come ministro dell'Interno, aveva promesso di ridurre gli sbarchi e difendere i confini italiani dall'immigrazione clandestina e su questo aveva ottenuto il consenso elettorale. I dati confermano che, durante il suo mandato, il numero degli arrivi via mare era notevolmente diminuito, e questo risultato aveva comportato una riduzione delle morti nel Mediterraneo, un obiettivo che persino le ONG considerano prioritario.

Inoltre, il ministro aveva offerto diverse alternative alla Open Arms per lo sbarco dei migranti: prima la Tunisia, la Francia, poi Malta e la Spagna che avevano reso disponibili i propri porti. Tuttavia, la ONG rifiutò tutte queste proposte, insistendo per sbarcare in Italia. Salvini, pur mantenendo il blocco, permise comunque lo sbarco di donne incinte, bambini, malati e feriti, dimostrando attenzione verso le emergenze umanitarie. Nonostante ciò, viene oggi accusato di aver trattenuto illegalmente persone in condizioni precarie, ma questi aspetti sembrano essere stati completamente ignorati.

Un altro punto di grande riflessione è la dichiarazione del PM Ferrara, secondo cui "il migrante in mare è unicamente una persona da salvare. È irrilevante la classificazione, potrebbe essere anche un terrorista". Questo pensiero mi lascia senza parole, non lo condivido e mi sembra una visione pericolosa. È ovvio che chiunque in pericolo in mare debba essere salvato, ma che possano essere ignorati certi rischi per la sicurezza nazionale mi spaventa.

Un aspetto ulteriormente triste e contraddittorio riguarda il ruolo del Parlamento in questa vicenda. Salvini si trova oggi a processo perché è stato lo stesso Parlamento del 2020 a votare per mandarlo lì. Eppure, molti di coloro che oggi lo criticano e lo attaccano, in particolare esponenti del Movimento 5 Stelle, erano parte del governo che approvò i decreti sicurezza, che permisero all'allora ministro dell'Interno di bloccare la nave. Lo stesso Danilo Toninelli, ex ministro dei Trasporti, aveva riconosciuto che il merito della riduzione degli sbarchi era condiviso tra lui e Salvini. Questo dimostra come le scelte politiche di quel periodo non fossero attribuibili unicamente a Salvini, ma condivise all'interno dell'esecutivo.

In conclusione, credo sia necessario sottolineare che l'immigrazione clandestina è un reato e trovo allarmante che questo elemento fondamentale nel valutare l'operato di Salvini venga ignorato. La difesa dei confini e il rispetto delle leggi nazionali ed europee non dovrebbero essere considerati crimini, soprattutto se sostenuti dal consenso democratico degli elettori. Questo processo appare, a mio avviso, una battaglia politica più che una vera ricerca di giustizia anche perché, lo ribadisco, le alternative alla ONG erano state offerte, i soggetti più deboli furono fatti sbarcare e nessuno a bordo ebbe danni alla propria salute.

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