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Carini–Khelif: le polemiche che fanno male allo sport

Iris Devigili Cattoni
Iris Devigili Cattoni

Ha una laurea in scienze storiche cui sono seguiti due master in Marketing, comunicazione e social media e in Marketing strategico. Da oltre dieci anni è consulente di marketing e comunicazione digitale ed è stata docente per i master post laurea alla Business School de Il Sole 24 Ore. Autrice del libro “Buyer Personas. Comprendi le scelte d'acquisto dei clienti con interviste e Modello Eureka!”, ha scritto diversi contributi per pubblicazioni di colleghi e amici. Si dedica alla scrittura e conduzione di trasmissioni televisive, modera dibattiti, presenta libri e coltiva la sua passione per l'uso della voce. Patita di sport, si divide tra running e padel.

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La recente polemica scoppiata dopo l'incontro di boxe tra l'italiana Carini e l'algerina Khelif ha richiamato l’attenzione su di una questione che già ha fatto discutere: l'equità delle gare sportive quando sono coinvolti atleti transgender o, come in questo caso, intersex.

Angela Carini si è ritirata dopo soli 46 secondi dall'inizio del match dopo aver ricevuto un pugno troppo potente. Questo ha sollevato domande sulla correttezza del combattimento, ritenuto da molti iniquo proprio per la differenza di forza tra le due atlete dovuta alle caratteristiche genetiche dell’algerina.

Khelif, pur essendo nata femmina, ha nel suo DNA il cromosoma maschile Y, livelli di testosterone naturalmente più alti e conseguentemente una prestanza fisica che si avvicina a quella maschile. In passato era stata esclusa dalle competizioni proprio a causa dei suoi alti livelli di testosterone, ma quest'anno il CIO, comitato olimpionico internazionale, ha deciso di farla gareggiare ritenendo che i suoi livelli di testosterone fossero nei limiti tollerati.

Dal mio punto di vista la questione centrale non riguarda tanto l'identità sessuale di Khelif, quanto l'impatto delle sue caratteristiche fisiche sul combattimento.

A differenza di altre discipline, dove le categorie vengono definite per età indipendentemente dall’altezza o dal peso degli atleti, negli sport di contatto come la boxe le divisioni avvengono in funzione del peso dell’individuo, peso che è direttamente correlato alla forza e alla potenza dei colpi. Quando un'atleta presenta una massa muscolare e una potenza superiori alle donne della stessa categoria di peso, l'equità del combattimento viene messa in discussione se quello sbilanciamento non è dovuto ad un maggiore allenamento o ad una superiorità tecnica, ma a differenze fisiche intrinseche che possono dare un vantaggio squilibrato.

A riprova di questo, il CT della nazionale spagnola ha raccontato che durante un ritiro a Madrid, a Khelif non è stato consentito di allenarsi con le donne proprio per la sproporzione di potenza. Si è allenata con José Quiles, anche lui oggi gareggiante alle olimpiadi di Francia, ed erano allo stesso livello.

La situazione di Carini la cui sconfitta – ritiro, a dire il vero – è stata percepita come ingiusta e le polemiche intorno alla vittoria di Khelif evidenziano la necessità di una maggiore attenzione alle caratteristiche degli atleti transgender e intersex nello sport e ancor più in quelli di contatto. La questione non riguarda, ovviamente, la discriminazione di genere, ma l'equità nelle prestazioni fisiche.

È cruciale trovare un equilibrio che garantisca competizioni giuste per tutte le atlete, proteggendo l'integrità dello sport e il benessere dei partecipanti.Questo dibattito mette in luce l'importanza di rivedere le regole e i criteri di idoneità per assicurare che tutti gli atleti competano ad armi pari. Le attuali norme evidentemente non sono sufficienti a garantire l'equità e una revisione più approfondita e scientifica delle categorie di competizione potrebbe essere necessaria per prevenire simili polemiche in futuro e assicurare che le competizioni siano giuste e rispettose per tutti gli atleti coinvolti.

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