Femminile sovraesteso: la provocazione stravagante della mia università
23-26 maggio, Festival dell’Economia di Trento organizzato da Il Sole 24 Ore; un grande successo per presenze, interventi, per il valore che la kermesse ha portato a Trento, la mia città. Alla cerimonia inaugurale salgono sul palco i primi ospiti.
La giornalista chiama il rettore dell’Università di Trento. Ma come? Il rettore? Ma non abbiamo sbandierato il progressismo di un’università che ha adottato il femminile sovraesteso nel regolamento d’ateneo, così da utilizzare i termini femminili per tutte le persone, sia al singolare, sia al plurale? Il capo d'istituto, in quei giorni, aveva spiegato di essersi sentito escluso come uomo nel leggere il termine “rettrice” e questo lo aveva fatto riflettere su come noi donne potremmo sentirci quando non ci vediamo rappresentate nei documenti ufficiali. Si sarà quindi sentito escluso ad essere stato chiamato “rettore” in occasione del Festival dell’Economia, davanti a tanti presenti in teatro? Scusate il tono ironico, nulla contro di lui e la giornalista, ma in effetti a sentire quelle parole mi è scappato un sorriso. La mia opinione sulla questione del femminile sovraesteso in università? Un’assurdità inutile.
Ma davvero le donne hanno bisogno di essere nominate con declinazione femminile per non sentirsi escluse? A me, francamente, pare che si stia rasentando il ridicolo. È necessario scomodare la lingua italiana, della quale io sono una fanatica cultrice, per raggiungere la tanto agognata parità di genere? Ma la tutela dell’italiano dov’è finita? Il femminile sovraesteso non è italiano, è una sgrammaticatura ideologica, come altro vogliamo chiamarla? Quindi io dovrei sentirmi rappresentata solo nel momento in cui la lingua italiana prevede un termine con declinazione femminile, mah… E quando io e il mio collega maschio veniamo chiamati “consulente” per la medesima attività lavorativa che svolgiamo, chi dei due dovrebbe sentirsi escluso? Forse entrambi?
Beato il dottore che lavora alla guardia medica, si toglie dall’impiccio visto che può essere chiamato sia “medico”, sia “guardia medica”. Ma aldilà di tali elucubrazioni mentali – sfido chiunque ad affermare che prima di questa genialata dell’università trentina, qualche donna abbia in cuor suo lamentato il fatto di sentirsi discriminata perché il proprio ruolo è previsto al maschile nella lingua italiana – a qualcuno della commissione che ha preso la decisione di usare solo i termini femminili è venuto in mente che il maschile non marcato fa parte della nostra lingua e non dà fastidio perché ne è la forma corretta? Il maschile non marcato non esclude nulla per definizione, semmai è il femminile ad essere marcato, ossia utile ad escludere e indicare qualcosa di diverso dalla norma; un’esclusione, per altro, grammaticale, non sociale – meglio specificarlo, sia mai che io venga fraintesa. M’immagino qualche scena esilarante: due prof. (non oso declinare) con lo stesso cognome convocati dalla rettrice: “Chiamatemi la professoressa Rossi, quella uomo…”! “Fate entrare tutte le candidate”, magari sono tutti ragazzi… o in quel caso viene concesso il maschile?
Ma allora si deroga alla norma? Ma per favore!!! E se si verificasse un caso dalla connotazione negativa? Se un ragazzo in ateneo commettesse un illecito e venisse data la notizia: “la studentessa ha utilizzato mezzi illeciti per superare l’esame…” Ahhh, apriti o cielo! Notizia sessista! S’incolpa una donna, mentre il colpevole era uomo! Ma dai, dobbiamo davvero arrivare al ridicolo per raggiungere a pieno la parità di genere? Non è certo questa la via che potrà portare ad una reale affermazione del ruolo femminile nella società, tanto meno in università, luogo dove vorrei veder conservato il patrimonio inestimabile della lingua italiana che, seppur è vero che si evolve con la società che la utilizza, allo stesso tempo non va sottoposta a forzature senza senso. La parità si dovrebbe raggiungere per merito e capacità, non per legge o regolamento; così facendo si rischia davvero di porre la donna in una posizione di inferiorità superabile solo grazie a ingerenze esterne. Le donne non hanno bisogno di queste forzature, devono solo essere lasciate libere di esprimere il loro potenziale e messe nella condizione di raggiungere i propri obiettivi.