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La morte di Navalny riporta l'attenzione sull'Ucraina

Iris Devigili Cattoni
Iris Devigili Cattoni

Ha una laurea in scienze storiche cui sono seguiti due master in Marketing, comunicazione e social media e in Marketing strategico. Da oltre dieci anni è consulente di marketing e comunicazione digitale ed è stata docente per i master post laurea alla Business School de Il Sole 24 Ore. Autrice del libro “Buyer Personas. Comprendi le scelte d'acquisto dei clienti con interviste e Modello Eureka!”, ha scritto diversi contributi per pubblicazioni di colleghi e amici. Si dedica alla scrittura e conduzione di trasmissioni televisive, modera dibattiti, presenta libri e coltiva la sua passione per l'uso della voce. Patita di sport, si divide tra running e padel.

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Navalny Foto: Navalny
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A due anni dall’invasione russa in Ucraina, la guerra che dal 7 ottobre 2023 aveva perso la centralità dell’attenzione europea e statunitense a causa dello scoppio del conflitto israeliano-palestinese, è tornata prepotentemente al centro dell’interesse a seguito della morte di Alexej Navalny. Il dissidente russo, considerato il più forte oppositore di Vladimir Putin, il 16 febbraio scorso è morto improvvisamente nella colonia carceraria artica dove stava scontando una pena di 19 anni.

Il servizio penitenziario federale russo ha dichiarato che la causa del decesso è stata una trombosi e la tv Russia Today ha confermato la versione ufficiale, ma i sostenitori di Navalny e molti altri hanno contestato la versione ufficiale, sostenendo che si tratti in realtà di un omicidio pianificato il cui mandante sarebbe Putin.

Proprio Maria Pevchikh, dirigente della Fondazione Anti-Corruzione fondata da Navalny, ha dichiarato che il detenuto sarebbe stato in procinto di essere liberato a fronte di uno scambio di prigionieri cui si stava lavorando da circa due anni, ma che Putin avrebbe cambiato idea e ordinato di farlo uccidere.

Il quotidiano britannico The Times ha pubblicato un articolo in cui si ipotizza che Navalny sia stato ucciso con la tecnica, utilizzata dal KGB, del “pugno al cuore”. Il dissidente sarebbe stato esposto per ore alle rigide temperature della regione artica dove era detenuto – in inverno possono arrivare fino a 50 gradi sotto lo zero - prima di essere colpito con un pugno in corrispondenza dello sterno, provocandogli un arresto cardiaco.

Indipendentemente dal fatto che tale ipotesi sia o meno veritiera, è innegabile che le condizioni carcerarie molto dure abbiano contribuito alla sua morte e desta sospetto il fatto che le autorità russe abbiano procrastinato i tempi di riconsegna alla famiglia del suo corpo. 

In merito a questo c’è chi ha ipotizzato una morte dovuta a Novichok, agente nervino col quale già nel 2020 Navalny era stato avvelenato, salvandosi miracolosamente; secondo questa teoria i lunghi tempi di riconsegna del corpo alla famiglia sarebbero stati dovuti alla necessità di far scomparire le tracce di Novichok in modo da non essere rilevate durante l’autopsia. 

In favore di Navalny ci sono state manifestazioni come la fiaccolata organizzata da Carlo Calenda che ha visto partecipi tutti gli schieramenti politici e che, inevitabilmente, hanno ridirezionato l’attenzione dell’opinione pubblica sul conflitto ucraino e sulla necessità di contenere un regime autoritario come quello russo che diventerebbe una seria minaccia ai valori democratici europei oltre che alla stabilità dell’intera Europa.

Purtroppo l’impasse degli Stati Uniti sullo stanziamento di nuovi aiuti all’Ucraina, sta creano importanti difficoltà all’esercito che si trova di fronte un nemico meglio armato e con un maggior numero di uomini.

Le sanzioni che relativamente in breve tempo avrebbero dovuto mettere in ginocchio la Russia, non si sono rivelate ad oggi realmente efficaci, anzi l’hanno portata a stringere rapporti con Cina e Iran che per l’Occidente sono tutt’altro che di buon auspicio.

Se nel settembre 2022 Draghi affermava che “le sanzioni hanno avuto un effetto dirompente sulla Russia”, a distanza di circa un anno e mezzo da quella dichiarazione la situazione appare piuttosto diversa se si considera la potenza bellica con la quale essa sta attaccando l’Ucraina. Proprio su questo elemento, però, mette il focus la Commissione Europea con un’analisi economica pubblicata in questi giorni sul proprio sito web, la quale mostra come la crescita dell’economia russa sia dovuta all’aumento delle spese militari – oggi pari al 6% del Pil – il che rende il Paese troppo dipendente dallo Stato, avendo di fatto sviluppato una vera e propria economia di guerra. La debolezza russa, sempre secondo tale analisi, sarebbe evidenziata da un rublo fortemente indebolito, dall’aumento dei tassi d’interesse associato alla crescita dell’inflazione, oltre alla contrazione del mercato del lavoro e all’importante dipendenza dalla Cina per quanto riguarda risorse energetiche e tecnologia.

Quanto effettivamente le sanzioni avranno effetto, immagino sarà appurabile sul lungo periodo, di certo ora la tenacia ucraina deve essere sostenuta da aiuti economici, in mancanza dei quali diventerebbe molto alto il rischio di sconfitta, una sconfitta non solo di quel Paese, ma a mio avviso dell’intera Europa e dei principi di democrazia e autodeterminazione che la governano.

Io concordo pienamente con Giorgia Meloni che, ospite a Porta a Porta ha affermato: “l’occidente non deve dare segnali di stanchezza … perché se non fosse stato per il lavoro cha abbiamo fatto noi, oggi avremmo un’Ucraina invasa, avemmo una guerra molto più vicina a casa nostra e avremmo un mondo nel quale chi è militarmente più forte può liberamente invadere il suo vicino e … questo non ci conviene…”

In linea con il pensiero della premier, di certo l’Italia continuerà a dare supporto a Zelensky, così come sta facendo l’Europa; c’è da augurarsi che il pacchetto di 60 miliardi di dollari approvato dal Senato americano venga sbloccato per finanziare la fornitura di armi all’esercito ucraino necessarie a contrastare l’avanzata russa che sta mettendo in seria difficoltà il fronte difensivo di Kiev.
 

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